Regia di Filippo Meneghetti vedi scheda film
Questo amore, così tenero, così delicato … Nina e Madeleine lo vogliono difendere.
Due di Filippo Meneghetti racconta un amore, e fin qui niente di particolare. Neppure se raccontasse di un amore omosessuale sarebbe da ricordare.
Ma se questo amore omosessuale lega due donne anziane, largamente sopra l’età in cui ti considerano fascia a rischio e ti vaccinano subito, allora il caso è da manuale.
Proviamo ad immaginare due vicine di casa reali, siamo in un grande condominio e le due occupano l’ultimo piano, due porte di fronte e in mezzo l’ascensore. E poi facciamoci un esame di coscienza.
Meneghetti mette in scena due donne anziane, ne scarnifica le due vite ridotte a quello spazio claustrofobico in cui la vecchiaia ti riduce, la spesa al supermercato vicino, la lavanderia, due figli e un nipote che vengono a trovarti perché così si fa, o la singletudine per quella delle due, Nina, che non ha mai scelto di vivere con un uomo.
C’è un gran stormire e gracchiare di corvi, a partire dalla prima sequenza, un suono sgradevole, funereo, due bambine giocano a nascondino, una sparisce e l’altra la cerca smarrita.
Presagi, un destino che si avvera, un incontro giovanile a Roma (qui siamo a Montpellier, la Francia della provincia che muore di noia), Nina ( Barbara Suchova) guida turistica e Madeleine (Martine Chevallier) in vacanza.
Diventeranno vecchie insieme e sogneranno di andare a Roma, a vivere, lasciando tutto quello che le ha tenute in gabbia.
Vivere all’ultimo piano di un condominio permette di nascondere al mondo un amore che può essere anche uno scandalo, un inaccettabile sovvertimento di regole, una condizione su cui lo sguardo dell’altro si posa crucciato, disturbato, pronto al giudizio impietoso.
Film di confine, d’amore e di sessualità diversa e disarmante, di conflitti psicologici che l’età aggrava perché il fisico non regge, la malattia è in agguato, la testa esplode perché vorrebbe cose che ormai non può più avere, la claustrofobia delle scene, spesso ridotte a quello che si vede da uno spioncino, l’afasia che da simbolica diventa reale, il silenzio, la chiusura, le sacche di pregiudizio e incomprensione in cui si resta chiusi mentre la vita se ne va, di tutto questo si poteva fare un film spietato, angosciante, funereo.
Questo non avviene, il sentimento dominante è una malinconia che ti prende e ti lascia molto dopo la fine, le due protagoniste si calano nella parte da grandi interpreti, il giovane Meneghetti mostra una sensibilità non comune, e non tanto per l’aver affrontato il tema della diversità che oggi in tutte le salse è diventato un nuovo luogo comune.
Il tema dominante è la solitudine, il vuoto che la vita si ostina caparbiamente a crearti intorno dopo averti illuso che così non è, che tante primavere ancora verranno ecc. ecc.
Resta una scatola di latta con foto di tempi dimenticati, restano figli che non riconosci più dai bambini amorevoli che erano, restano due appartamenti di piccola borghesia di provincia, pieni di mobili inutili.
Questo amore, così tenero, così delicato … Nina e Madeleine lo vogliono difendere. E qui il film non può che finire sulle note di Chariot.
www.paoladigiuseppe.it
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