Regia di Ari Aster vedi scheda film
Midsommar è un film che può piacere a 4 o forse anche 5 persone in tutto il mondo. È un film talmente particolare che probabilmente, se non apprezzate questo particolare stile, lo odierete dal primo all’ultimo minuto. Se siete invece tra quelle 4/5 persone che lo sanno apprezzare, lo amerete alla follia.
Midsommar è un film che inevitabilmente dividerà il pubblico. Una parte sarà affascinata e cercherà di cogliere i numerosi simbolismi lasciati dal regista. L’altra uscirà dalla sala disgustata pensando di aver visto un collage di scene senza senso messe totalmente a caso.
Tutte e due le opinioni sono corrette, è inutile pretendere di avere la verità assoluta.
Pertanto io cercherò di dare la mia visione del film e di far capire come mai a me è piaciuto così tanto e perché secondo me la metà del pubblico che lo disprezza non l’ha pienamente capito.
Per fare ciò bisogna entrare nel dettaglio riguardo la trama del film, da molti definita noiosa e priva di avvenimenti, ma in verità densa di eventi e di significati.
Perché se con Hereditary il regista aveva firmato un film senza punti morti e dove la trama procedeva come un treno ad alta velocità, la nuova opera del regista risulta essere invece molto più libera, in quanto il regista si prende i suoi tempi e non è mai accondiscendente verso lo spettatore.
Il film può piacere e può non piacere, ma il coraggio dimostrato da questa giovane promessa è solo da premiare.
Midsommar ha molto probabilmente uno dei prologhi più belli visti negli ultimi anni per quanto riguarda il cinema horror.
Forse solo Get Out e The Witch hanno un inizio altrettanto bello.
Il film inizia in modo glaciale e nei primi cinque minuti mostra solo primi piani di una ragazza che discute con la sua amica al telefono, parlando di problemi legati alla sua vita privata. Il classico spettatore disattento che si annoia facilmente dopo questa sequenza si è già distaccato dal film. Però in questa scena di normale vita quotidiana c’è un piccolo dettaglio che stride con il resto, ovvero l’email della sorella della protagonista che recita: “Sono stanca, mamma e papà verranno con me nel buio”.
Pian piano che la scena procede lo spettatore apprende sempre più dettagli. Si scopre che la sorella è bipolare e che scrive spesso questo tipo di messaggi dalla natura difficilmente fraintendibile. Inoltre la sorella non risponde all’ultimo messaggio della protagonista, laddove invece aveva risposto quasi immediatamente poco prima. Apprendiamo inoltre i problemi tra la protagonista, Dani, e il suo ragazzo, Christian. Conosciamo subito gli amici del ragazzo e capiamo subito chi vuole che la coppia si lasci, chi vuole che rimangano assieme e chi invece se ne frega altamente. I caratteri dei 5 protagonisti sono delineati perfettamente nel giro di un paio di minuti, in quanto questo tipo di comportamento i personaggi lo terranno fino alla fine del film. Ma il puzzle iniziato da Ari Aster non è ancora completo e quando finalmente lo spettatore riesce a riunire tutti i pezzi e a capire quale sarà il motore da cui partirà il film, arriva una telefonata a confermare i timori ormai certi.
La sorella di Dani ha deciso di suicidarsi e di portare con se pure i genitori. Qui viene fuori ciò che veramente fa capire come mai il film è, a differenza di quanto detto da molti, un horror, probabilmente uno dei migliori usciti negli ultimi 20 anni. L’inquadratura della sorella morta con il tubo del gas in bocca pieno di vomito e sangue è quanto di più terrificante il genere possa offrire. Con un’inquadratura il regista dimostra che per creare l’orrore non è necessario nè usare i soliti cliché e nemmeno inventare qualcosa di originale e mai visto prima, basta semplicemente inquadrare l’orrore della realtà. Questa è una cosa che potrebbe accadere a chiunque, non è un avvenimento tipico da film dell’orrore che non ci traumatizza in quanto quelle cose non esistono. La paura della realtà fa più paura delle invenzioni create dall’uomo per suscitare terrore.
La scena si conclude in maniera grandiosa, con l’immagine della ragazza che piange mentre fuori nevica e il ragazzo che fino a un momento prima voleva lasciarla, ora fa finta di averla a cuore, mentre la protagonista comincia da questo punto a capire che questo mondo pieno di morte e incertezze non è fatto per lei.
Una sequenza glaciale e perfetta in ogni suo dettaglio. Il film questi livelli non li raggiungerà più, in quanto dopo aver raggiunto punti così alti, sarebbe stato impossibile fare di meglio.
Dalle scene seguenti viene rivelato però il vero tema cardine dell’opera di Aster, ovvero il superamento del lutto.
Il viaggio compiuto dalla protagonista insieme al ragazzo e ai suoi amici non è altro che un’enorme metafora del tentativo dell’essere umano di lasciarsi alle spalle le tragedie per concentrarsi sulle esperienze positive che possono aiutarlo a dimenticare. Il tutto viene messo in scena con una delicatezza che lascia la pelle d’oca in più momenti.
La fine del primo atto ambientato in America e l’inizio del resto del film ambientato in Svezia viene resa perfettamente dal regista in un’inquadratura dove la telecamera si capovolge su se stessa dopo essere stata superata, come a rappresentare il fatto che i protagonisti stanno per entrare in una realtà a loro sconosciuta e che sconvolgerà per sempre il loro modo di vedere il mondo.
Come se non si fosse già preso i suoi tempi fino a questo momento, il regista decide di dilatare ulteriormente gli avvenimenti del film, attraverso dialoghi corposi ma forse un po’ troppo lunghi e scene oniriche bellissime che lasciano lo spettatore basito e leggermente confuso.
Dopo questo inizio denso di avvenimenti, raccontati però con pacatezza e senza alcuna fretta, veniamo a conoscenza della comunità (che ha ricordato a molti quella di The Wicker Man) a cui ruoterà attorno la parte più grottesca e allo stesso tempo interessante del film.
Notiamo subito come questa comunità, nonostante i suoi tabù, sia in verità più libera della nostra, per esempio nell’uso che fanno gli abitanti di sostanza stupefacenti o nel rapporto che hanno con la sessualità, grande tabù della nostra società moderna che qui invece è rappresentata con freschezza e serenità. I muri sono infatti pieni di affreschi che raffigurano uomini e donne nudi o delle coppie durante il coito, cosa che i personaggi più superficiali fin da subito criticano in quanto inusuale.
Gli affreschi hanno un ruolo importantissimo per quanto riguarda la simbologia del film, soprattutto quello iniziale che fa nascere nuove chiavi di lettura se lo si riguarda dopo la fine del film.
La sensazione di sicurezza che da questa comunità è data anche dalle scelte cromatiche fatte del regista.
I colori più usati sono infatti il giallo e il bianco, colori che sono simboli di purezza e di armonia tra l’uomo e la natura (soprattutto in questo tipo di cultura), ma che in mano al giusto regista possono nel giro di pochi secondi cambiare completamente e aumentare la sensazione di terrore presente all’interno del film.
Il giallo dei fiori e del sole diventa ben presto un presagio di morte e lascia domande aperte su cosa potrebbe accadere in futuro.
In Hereditary c’era un momento totalmente inaspettato che cambiava la visione che lo spettatore aveva del film e che metteva le basi su cosa sarebbe successo da lì in poi. In quel film il momento avveniva dopo mezz’ora, in questo dopo più di un’ora. Altro esempio di come Aster si prenda il suo tempo fregandosene del divertimento dello spettatore, che se voleva divertirsi avrebbe dovuto scegliere più attentamente il film da andare a vedere. Questo momento è la morte degli anziani, la prima scena realmente grottesca della pellicola e che dimostra le influenze del regista da parte di maestri dell’orrore come Craven o Hooper, ma anche da parte di maestri assoluti come Bergman o Polanski.
Gli avvenimenti del film inoltre definiscono ancora di più i personaggi che accompagnano la protagonista, che rivelano la loro vera natura man mano che la storia procede.
Io li vorrei distinguere in tre tipologie di personaggi: Christian, ovvero l’edonista, e i suoi amici Josh, il menefreghista, e Mark, l’ignorante.
L’edonista si mostrerà sempre più meschino e ogni azione che farà avrà come base il suo piacere personale e non quello delle altre persone.
Egli soffrirà più di tutti per le sue azioni, ma di questo parleremo dopo.
Il menefreghista dimostrerà sempre di più come non gli importa assolutamente nulla della cultura che lo circonda in questo villaggio e di come si interessi solamente per scrivere la propria tesi. Gli importa così poco della comunità da infrangere volutamente le regole che essa gli aveva imposto, sempre e solo per migliorare la propria tesina. Come se un buon voto all’universita valesse di più del rispetto verso delle persone che non hanno mai fatto nulla di male nei tuoi confronti. Come in Drag Me To Hell di Sam Raimi il limite non lo si varca non accettando la natura delle altre persone, ma mancando di rispetto al loro modo di essere.
Infine l’ignorante è il personaggio che mi ha divertito di più, in quanto è stato facilissimo notare il paragone con il pubblico che ha visto il film con me in sala. L’ignorante è un personaggio con una mentalità totalmente chiusa, che ride davanti a qualsiasi stranezza compiuta dalla comunità e che manca di rispetto in ogni modo possibile o immaginabile ad essa. Esattamente come il pubblico che avevo in sala, che ha passato tutto il film a chiaccherare e a ridere davanti a qualsiasi cosa apparisse sullo schermo, rovinando la visione a chi non riusciva a far finta che non esistessero. In una delle scene più importanti del film l’ignorante urinerà su un albero Sacro dove vengono sparse le ceneri dei defunti e dopo essere stato giustamente insultato da un popolano, si difenderà pure dicendo che tanto era solo un albero.
Per te forse era solo un albero, ma non per quelle persone.
Inoltre sono convinto che quelle stesse persone che in sala ridevano davanti alle stranezze di una cultura che non conoscevano, probabilmente avrebbero dato ragione all’ignorante.
Il personaggio inoltre è importante per quanto riguarda un altro aspetto fondamentale del film: l’incontro con una nuova cultura diversa dalla nostra. Mentre l’atteggiamento irrispettoso e indegno degli altri personaggi non farà altro che portare conseguenze negative all’interno del film, tra cui la punizione che si meritano per i loro peccati, l’atteggiamento libero e aperto di Dani non farà altro che farla integrare sempre di più con il villaggio.
Come per dire che accogliere le culture diverse dalla nostra a braccia aperte porterà solo arricchimento per le nostre menti e per i nostri cuori.
Il momento del suicidio degli anziani per gli altri personaggi è stato il momento dove si sono completamente distaccati dalla loro cultura e dove hanno cominciato a vederli come pazzi senza cervello; invece per Dani è stato il momento in cui ha capito che forse era questo di cui aveva veramente bisogno per superare tutti gli ostacoli che le si erano parati di fronte negli ultimi mesi.
Da qui in poi il film cede alla follia più completa e in modo molto simile a quanto fatto dal film Madre!, diventa un concentrato di scene al limite del grottesco e del surreale.
La scelta di decidere se quello a cui si sta assistendo sia un colpo di genio o l’ennesima presa per i fondelli da parte del regista spetta allo spettatore.
Per esempio assistiamo ad una scena dove una ragazza dai capelli rossi cerca di avere un figlio dal ragazzo della protagonista, assistita da altre numerose donne che fanno gli stessi versi della ragazza e il risultato è di quanto più grottesco abbia mai visto in vita mia. Però mi è piaciuto.
Le possibilità sono due: o sono un malato di mente (cosa altamente probabile ma che non imputerei alla mia passione verso il cinema), oppure il regista è riuscito a farmi entrare in una dimensione dove la realtà è talmente grottesca e disgustosa da far risultare più realistiche le scene più surreali e assurde.
Per non parlare poi del bellissimo finale, che mi ha lasciato letteralmente stupito.
Dopo che Dani diventa la regina del Midsommar viene costretta a decidere chi sacrificare insieme a tutti gli altri morti del film e lei sceglie il suo ragazzo, in quanto si rende finalmente conto della sua natura egoista e opportunista.
Assistiamo inoltre alla sorte degli altri personaggi. Al menefreghista che si credeva un intellettuale gli è stato messo qualcosa in bocca che anche da morto non gli dia la possibilità di parlare e ad un personaggio apparso per pochi minuti viene aperta la schiena, come punizione per aver disonorato il rito del sacrificio degli anziani.
I volontari del villaggio invece sembrano quasi felici mentre muoiono, in quanto grati di essersi sacrificati per un bene più grande.
Il ragazzo di Dani invece viene ricoperto con la pelle di un orso (come per mostrare in un certo senso l’impotenza dell’uomo nel momento in cui deve rispondere alle conseguenze delle sue azioni) e poi bruciato vivo insieme ai cadaveri dei suoi amici. Inoltre è inquietante e allo stesso tempo appagante vedere come la pelle dell’ignorante (unica cosa rimasta di lui dopo l’ennesima offesa) sia stata riempita con un sacco di patate e truccata da giullare, come per mostrare anche nella morte la sua vera natura da buffone.
Ciò che sorprende più di tutto è la reazione di Dani a tutto ciò. In un primo momento sembra spaventata e inquietata, ma man mano che i sacrifici continuano a bruciare sul suo volto si forma un sorriso e il film si conclude in questo modo.
E ora mi è tutto chiaro. Lei è diventata parte della comunità. Questo perché ciò di cui aveva bisogno non era andare oltre o smettere di pensare alla morte dei propri familiari. Ma cominciare ad avere una visione della vita e della morte più libera e meno pessimista, come quella della comunità di cui ora fa parte.
Lei non ha solo trovato la pace interiore. Ha trovato se stessa.
Midsommar di Ari Aster è una perla più unica che rara e spero che sempre più persone la scoprano e riescano ad avere una mentalità abbastanza aperta da riuscire ad apprezzare il film nonostante tutte le sue stranezze e particolarità.
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