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La paura mangia l'anima

Regia di Rainer Werner Fassbinder vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su La paura mangia l'anima

di sasso67
10 stelle

Una delle storie d’amore più belle e strane che abbia visto al cinema. Ed il titolo, molto incisivo, è un invito che nel film Alì fa alla protagonista, affinché non si lasci angustiare (angst = paura) troppo  dalle difficoltà che “gli altri” frappongono alla loro relazione. Ma anche il titolo alternativo, con il quale il film aveva inizialmente circolato, è molto significativo: “Tutti gli altri si chiamano Alì”. Ed infatti il coprotagonista, come tutti i suoi connazionali marocchini, è chiamato dai tedeschi Alì, benché il suo nome sia diverso. E tuttavia gli stranieri non sono immuni dal pregiudizio; perfino lo stesso Alì, che faticava ad essere accettato dalla comunità tedesca nella quale vive Emmi, la protagonista, ride di gusto quando i suoi colleghi apostrofano la donna come “la nonna del Marocco”. Chi conosce Douglas Sirk dice che “La paura mangia l’anima” sia “un vago remake” (Ferrario) del suo “Secondo amore”, ma potrebbe anche essere una rivisitazione sghemba di “Romeo e Giulietta”, rivisitato con i colori e gli schemi da sitcom anni settanta. Ed è comunque un film nel quale, in anticipo sul “Matrimonio di Maria Braun”, Fassbinder riesce a coniugare il melodramma di stampo hollywoodiano con un discorso serio sulla società tedesca (europea) e sulla mentalità dei piccolo borghesi, degli immigrati, di chi ama e di chi invidia. Il regista sa rendere credibili i suoi personaggi non facendo di nessuno di loro il personaggio perfetto ed eroico: tutti commettono errori e sono pronti ad espiare, sia pure, molto spesso, per motivazioni egoistiche. Perfino la protagonista si rende responsabile di escludere dalla riunione tra colleghe una lavoratrice jugoslava, perché non fa parte della sua “classe salariale”, in quanto la sua paga oraria è di 50 pfennig inferiore. “La paura mangia l’anima” è un melodramma che si mantiene sul filo della tragedia senza mai immergervisi completamente, ma rifuggendo al tempo stesso da ogni tentazione di lieto fine. L’unico personaggio veramente positivo è quello di Gruber, il proprietario di casa, interpretato da Marquard Bohm (una presenza frequente del cinema fassbinderiano), che, non casualmente, ci è presentato dal regista come l’unica persona veramente pacificata di tutto il film. Per la riuscita di questo film, a mio parere uno dei migliori in assoluto di Fassbinder, è decisiva la presenza della straordinaria Brigitte Mira – che per il regista bavarese sarà anche mamma Kusters – un’attrice che, con la sua recitazione dimessa e mai fuori dalle righe, caratterizza di sé un piccolo capolavoro, che meriterebbe di essere più conosciuto. Ma anche questo è un merito di Fassbinder (che qui si presta ad interpretare la parte del genero della protagonista), il quale, da bravo autore teatrale oltre che cinematografico, sa disporre le proprie pedine, per poi nascondersi dietro di esse e farci assaporare la loro interazione.

 

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