Regia di Sidney Lumet vedi scheda film
Ci sono pellicole che lasciano un'impronta pesante, incancellabile, anche se non tutto quello che propongono è perfetto, in cui una regia notevole o una prova d'attore straordinaria spargono merito e danno la spinta necessaria a far sì che ciò avvenga."L'uomo del banco dei pegni" si apre con una sequenza estatica, sconclusionata come un ricordo confuso o un sogno appena prima che finisca, fatta di una sensazione di quasi irreale benessere che non tornerà più nel resto del film, tranne qualche flashback:la realtà di un uomo che fa uno dei mestieri meno decorosi tra quelli esistenti, l'usuraio, è grigia, e votata ad un pessimismo scorato che lo rende impermeabile ad ogni vacillamento sentimentale. Si ha un'antipatia istintiva verso il protagonista, che però via via che la storia procede, e Lumet ne narra il tristissimo percorso di vita, si allenta e si scioglie in un crescendo di compassione, sentimento nobile per eccellenza, che culmina in un finale il quale giunge brusco, tragicissimo e che porta lo spettatore alla commozione. Rod Steiger, interprete mai da mezze misure, colpisce per un'interpretazione formidabile, contenuta e sfumatissima per quasi tutto il film, salvo esplodere in una disperazione assoluta che è anche un riemergere di ogni soffocato sentire:gli ultimi minuti di un'altra storia newyorkese di un cineasta che tante volte ha esplorato la metropoli americana, ma gli è stato riconosciuto meno che ai più giovani Scorsese e Coppola, sono cinema di altissimo livello.
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