Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Il mondo ritratto nell'Albero degli Zoccoli è una campagna di fine 800-inizio 900, fatto di valori e situazioni oramai estintasi da tempo in Italia. Si può dire che è un film comprensibile in pieno da chi oramai non c'è più, perché narra di un'Italia remota e che viene portata dal regista in scena con un fare popolare compassionevole. Dedico questa recensione non solo ad Ermanno Olimi che oggi giorno 7 Maggio 2018 c'ha lasciato, ma anche a mia nonna che è morta oramai da quasi 8 anni, e aveva come suo film preferito il capolavoro di Olmi, nonostante fosse meridionale ed il film è girato in dialetto bergamasco. Faccio poca fatica a capirne il perché; è un film messo in scena con attori non professionisti e che narra di vicende quotidiane di 4 famiglie che dividono il caseggiato con l'alternarsi del ciclo dell'agricoltura e delle stagioni. Un film che può essere compreso appieno da persone che non hanno sovrastrutture, cioè persone semplici come mia nonna.
La narrazione un po' documentarista, un po' romanzesca, aggiunta di melodramma nazional popolare e un tocco bucolico-favolistico che finisce con il creare un film credibile nella sua rappresentazione di un'epoca e un luogo remoto nel tempo, tanto da chiedersi se è mai esistito.
La semplicità è la chiave di volta per entrare nell'ottica filmica dell'Albero degli Zoccoli (1978), un mondo di dura fatica, estrema miseria e sfruttamento, ma capace di non smarrire mai i valori della solidarietà umana e dell'aiuto reciproco dell'uno verso l'altro, grazie anche alla religione e la forte fede cattolica di tutti questi contadini. Non so quanto la loro fede consapevole o meno, Dio è un elemento che al pari della loro condizione esistenziale tramandata di padre in figlio è sempre esistito, non c'è da fare molte domanda in proposito o riflessioni profonde. L' Altissimo esiste, e infligge soffetenze e gioie a questi contadini che quando vedono il baratro, non possono fare altro che affidarsi totalmente alle sue mani con preghiere miste a credenza popolare, e questo può incredibilmente portare ad un insperato miracolo che sovverta i dettami della scienza, come nel caso della guarigione della mucca data per spacciata dal veterinario... come ha fatto a guarire beh... per mia nonna era un atto di misericordia di Dio, io ci credo molto meno, ma chi sono io per dire che nella sua semplicità ha torto? La nonna non s'è posta il come sia successo, ma solo che è avvenuta la guarigione ed oltre è meglio non indagare, anche perché Olmi giustamente resta sul vago, pur se ha la sua personale posizione che si capisce benissimo.
Ispirazione religiosa che funge anche da base della storia romantica fatta di pudici e semplici sguardi, tra il timido Stefano e una stilnovista Maddalena, che sembrano essere dei novelli Renzo e Lucia, usciti dalle pagine dei Promessi Sposi.
Ma in tutto questo, non dobbiamo dimenticarci che il mondo contadino è anche brutale e spietato, quindi assistiamo ai continui litigi della famiglia Finard tra il padre collerico ed il figlio accusato di non lavorare abbastanza. Indelebili per l'impatto resteranno nella mia mente l'uccisione del maiale e la decapitazione dell'anatra (oggi non credo possano girarle certe cose), con tanto di sangue caldo sgorgante fuori in modo copioso. La mia sequenza preferita però, riguarda il comizio socialista dove un militante dal palco declama i diritti dei contadini e norme sul lavoro, mentre Finard è attratto da una moneta d'oro caduta per terra e la nasconde sotto lo zoccolo del cavallo. La moneta ovviamente verrà persa e Finard se la prenderà con l'incolpevole cavallo che ad un certo punto si ribella. Il giusto contrappasso per Finard che non è un uomo, ma una bestia, poiché ha perso l'occasione di poter ricevere un arricchimento culturale atto a plasmare ed elevare la sua persona, diventando così un individuo consapevole. Ma alla fine non è il solo, egli segue la natura umana, d'altronde meglio un soldino oggi che 3 ipotetici domani. I contadini invocano progresso sociale, ma alla fine restano inerti e quindi giustamente meritano di essere sfruttati dal "padrone" capitalista.
Il mondo ritratto quindi è rappresentato in tutte le sue sfumature, anche se la nostalgia del regista verso quel mondo che non c'è più risulta evidente. I lati oscuri sono rappresentati (il finale è emblematico), quindi non ho mai capito alcune accuse riguardanti la mera esaltazione unilaterale di quel mondo. I contadini più che rassegnati come ha detto qualcuno, sono convinti che tutto sia sempre destinato a restare uguale; visione a mio parere corretta, tanto che basta vedere che in realtà non sono differenti come mentalità dai pescatori di Verga descrittaci nel libro, I Malavoglia.
È un film speciale e a suo modo unico, con numerose sequenze di pura poesia visiva, ma anche tattile (senti gelarti le ossa quando la mattina questi personaggi si alzano all'alba e vanno a lavorare nei campi), dove emerge tutta la semplicità che muove l'esistenza dei contadini. Non fatevi spaventare dai 170 minuti di durate, perché vi assicuro che è un'esperienza unica e che altre cinematografie non potranno mai offrirvi.
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