Regia di Ermanno Olmi vedi scheda film
Circa a metà del film, un intellettuale tiene un comizio parlando di egualitarismo e progresso sociale. Uno dei contadini protagonisti vi si avvicina, ma non per ascoltare: ha intravisto per terra una moneta che intende, come è ovvio, fare sua. Pervenuto al suo minuscolo obiettivo, fugge via a gambe levate con un sorriso dall'orecchio all'altro. I contadini di Olmi restano immuni al seducente fascino della rivoluzione proletaria: la sottomissione al padrone è una realtà naturale dalla quale non pensano minimamente di affrancarsi. Il padrone, come il dio dell'Antico Testamento, interviene pochissime volte e sempre per elargire punizioni o riscuotere tributi. Si è accusato spesso Bertolucci di fare propaganda ideologica attraverso il suo Novecento: ma intanto i suoi protagonisti erano vivi, desiderosi di cambiare il loro destino - non ci riusciranno del tutto, ma non è forse nobile almeno il provarci? I contadini di Olmi sono troppo rassegnati al loro oggi e troppo rinunciatari verso il domani per suscitare una qualche empatia nel pubblico. In assenza di un nucleo narrativo centrale forte - ce ne sono quattro paralleli, corrispondenti alle quattro famiglie, ma esageratamente evanescenti nel loro scorrere - ne risente la caratterizzazione dei personaggi, abbozzati e tutti troppo uguali l'uno all'altro. Davvero difficile affezionarsi ad almeno uno di essi. Insisto sulla necessità della nascita di un conflitto nei film a sfondo rurale in cui c'è chi suda dall'alba al tramonto affinché il suo signore possa vieppiù godere degli agi derivanti dalla sua posizione di privilegio. Se manca il conflitto, manca la possibilità di una formazione ed eventualmente di un riscatto per i sottoposti. E capita che il padrone ti cacci perché hai tagliato un albero rinsecchito di sua proprietà. Abbastanza patetico.
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta