Regia di Aldo Lado vedi scheda film
Dall'omonimo romanzo di Alberto Moravia, Aldo Lado mette da parte il thriller, l'horror sadico e la fantascienza, e dirige una trasposizione molto curata dal punto di vista dell'ambientazione, della fotografia, e dei costumi d'epoca, ma anche un po' fredda ed irrisolta, affidando la parte del protagonista ad un giovane attore inesperto e piuttosto monocorde che non risulta minimamente in grado di reggere le responsabilità di una vicenda tutt'altro che banale o frivola; altro passo falso della produzione è quello di virare molta parte della vicenda sul coté erotico-patinato, affidandosi ad una Sandrelli che ripeterà con più successo le vie dell'ostentata esibizione fisico-corporale, strategia per lei azzeccata dato che proprio in quegli anni la carriera dell'attrice subirà una rinascita grazie al successivo, ma non di molto, successo de La Chiave di Tinto Brass.
Una chiave di lettura solo parziale rispetto al romanzo di Moravia, e che trascura troppo l'aspetto storico della scelta partigiana da parte del ragazzo, ribelle rispetto alla tradizionale visione di famiglia, da sempre fedelmente fascista; una omissione che nel film banalizza in tal modo un racconto di formazione che ha radici storiche ben precise e uno sfondo politico che invece di fatto rimane davvero troppo sfocato.
La disubbidienza e la ribellione di un ragazzo di famiglia alto borghese di mai celate simpatie fasciste da parte del rozzo e facilone padre di famiglia, peraltro voltagabbana non appena le cose si mettono male per la fazione al potere a seguito della disfatta della Repubblica di Salò, fa sì che il ragazzo rifugga l'ambiente familiare, fatto di distratta partecipazione a pranzi e cene da parte di due coniugi distratti, uno intento a prendersi la sospirata laurea tardiva e a pagamento (divertente e riuscito risulta il cameo di Nanni Loy nel ruolo del professore che per arrotondare scrive a pagamento la tesi in giurispridenza all'improvvisato neo-laureando inadeguatamente preparato) e a trascorrere il tempo libero tra amanti e concubine, l'altra a cercare di sfondare come cantante lirica in giro per i teatri d'Europa. Ecco allora che il ragazzo, gracile e malato di polmonite, deve lasciare da parte i suoi sogni di ribellione e libertà acquisiti con la partecipazione ad incontri clandestini con i partigiani, sottoponendosi più remissivamente alle cure casalinghe prestate da una dolce ed affezionata infermiera di mezza età dalla sfortunata vita privata, oltre che agli insegnamenti di una giovane e attraente maestra, amante neppure troppo celata dell'eccentrico e leonino padre del ragazzo, e che tuttavia non disdegna le attenzioni sempre più incontrollate del suo alunno focoso.
Il regista di origine croata Aldo Lado torna, dopo il buon thriller “Chi l'ha vista morire”, tra le amate calli veneziane in un film dalle accurate e particolareggiate scenografie e ricostruzione d'ambiente, che tuttavia finiscono per coprire e sopraffare il cuore della vicenda, spingendo eccessivamente ed astutamente i toni sul versante di un erotismo patinato che vede il ragazzino conteso tra due donne avvenenti e più mature di lui (l'altra è Teresa Ann Savoy, nel ruolo della avvenente e sfortunata istitutrice del ragazzo nonché amante del rissoso padre, interpretato quest'ultimo con il solito istrionismo dal valido e corpulento Mario Adolf).
Un erotismo velato e a buon mercato, che diviene una caratteristica insistita ed ostentata, che banalizza il prodotto rendendolo una vetrina un po' asettica, seppur molto ben ricostruita, di un'Italia rinata dalle macerie di una guerra disastrosa, alla vigilia di quel referendum del 2 giugno che la renderà una repubblica.
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