Regia di Mati Diop vedi scheda film
L'ultimo film di Mati Diop, presentato in Concorso al 72esimo Festival di Cannes, è un talvolta curioso talvolta irritante esperimento metaforico, che passa dal reale all'immaginario senza soluzione di continuità, minacciando la struttura narrativa che pure a fatica sembrava aver costruito con una qualche suggestione che prende il sopravvento (prime fra tutte, le luci della discoteca che sembrano riprodurre il movimento delle onde oceaniche), tira tutto fuori dai propri binari e lo disperde in un'imprevedibile maelstrom di situazioni, dettagli e visioni. A fare da padrone nel film è il mare, che con il suo ricorsivo sollevarsi e distendersi sembra fare da colonna sonora alle complesse vicende dei due innamorati Ada e Suleiman; la prima costretta a sposare un altro uomo ricco, Omar, mentre il secondo deciso a intraprendere con gli amici un viaggio in mare aperto per lasciare il Senegal e trovare un posto migliore per vivere. Mentre i paesaggi in modo ossessivo diventano i controcampi degli sguardi svanenti della protagonista - paesaggi o di tramonti o di una costa oceanica in cui svetta un unico grattacielo futuristico in mezzo ai ruderi in cui vive la gente - la trama si sfilaccia in due percorsi paralleli, fra quello che pensavamo di aver capito e quello che avviene realmente. E non si deve che aspettare il finale per potere dare un'interpretazione (anche politica e morale) a un giochetto narrativo che risulta originalmente pensato ma non perfettamente reso, ingenuo e sgraziato quando avrebbe richiesto maggiore precisione, e troppo enfatico quando avrebbe richiesto più umiltà. Un film ambizioso ma piccolo, concentrato sui volti dei protagonisti - soprattutto delle protagoniste -, in grado di parlare di sentimento e di felicità senza spiegoni e solo attraverso mezzi terzi, non solo la narrazione ma anche l'ellisse, il non-detto, l'imprevedibile.
Di certo azzardato, ma meno che mai da tralasciare senza attenzione, nonostante la discreta stucchevolezza che lo attraversa.
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