Regia di Katrin Gebbe vedi scheda film
Sembrava un film virato sul sociale, sull’impegno per l’infanzia abbandonata, sulle devianze indotte nella psiche da modelli e comportamenti aberranti.E invece...
L’Ordine degli Psicologi avrebbe tutti i diritti di prendersela con Katrin Gebbe, scelta per aprire gli Orizzonti di Venezia 76 con Pelikan blood.
A parte gli scherzi, uno psicoterapeuta in grado di dare giusti consigli e suggerire terapie appropriate alla bionda domatrice di cavalli e bambini devianti c’è, il problema è che lei, in preda a delirio maternale, decide di far da sé ricorrendo a metodi self made e, in mancanza di risultati, anzi, di fronte al rischio di essere scuoiata viva o bruciata con tutta la casa, ricorre alla magia nera.
E così, di passaggio in passaggio, sempre in crescendo, la povera testa di Top Gun, un bell’esemplare di razza equina, finirà impalata sul pennone della fattoria come teca in cui raccogliere tutto il male esorcizzato dalla povera bimbetta.
Nella fattoria con annesso maneggio specializzato in addestramento cavalli per poliziotti vivranno allora giorni che si presumono felici la madre single e le due figliolette adottive, quella buona e tanto, ma tanto paziente, e la piccola peste finalmente rabbonita.
Il procace poliziotto e aiuto maneggio che avrebbe avuto tutte le intenzioni di dare un padre a queste bimbe decide, alla fine, che è meglio stare alla larga, ha già un figlio (suo) e un matrimonio fallito alle spalle, perché andare a farsi male?.
Concordiamo pienamente, e in fondo ci dispiace.
Per buona metà il film si faceva infatti seguire con interesse, riuscendo ad evitare spiacevoli confronti con L’esorcista, sapendo bene che Friedkin è inimitabile e comunque di devianze minorili è sacrosanto parlare.
Un po’ alla volta si delineava infatti uno scenario di degrado, violenza, esperienze traumatiche vissute dalla piccola nei primi anni di vita, sembrava un film virato sul sociale, sull’impegno per l’infanzia abbandonata, sulle devianze indotte nella psiche da modelli e comportamenti aberranti.
Abbiamo condiviso il profilo generoso e solidale della donna, glissando sulla domanda “Ma perché si accanisce ad adottare pur essendo single e piena di lavoro?”, abbiamo rispettato la scelta, ammirata perfino.
Poi abbiamo cominciato a pensare che qualcosa non andasse in lei, che accanirsi così come fa è segno di follia, o, che è peggio, stupidità.
E tutto per 121 interminabili minuti.
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