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I miserabili

Regia di Ladj Ly vedi scheda film

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La recensione su I miserabili

di Furetto60
7 stelle

Tra dramma sociale e film poliziesco. Opera prima del regista Ladj Ly. Molto interessante

Marianne impugna la bandiera della Francia e una baionetta, immersa nel bel mezzo di una folla in tumulto, immagine iconica dell’opera di Eugène Delacroix, che ispirò Victor Hugo per la stesura del suo epico dramma popolare “I Miserabili". Stessa elegante citazione, è l’incipit dell’opera prima del regista Ladj Ly che infatti si apre con la stessa bandiera sventolata tra la folla, esibita con vanto in mezzo all'allegria della gente. Questa volta, però, non c'è una battaglia sociale da vincere, ma solo la finale dei mondiali di calcio vissuta attraverso gli occhi di un piccolo tifoso. Il film comincia dunque con l’atmosfera festosa dei mondiali di calcio, unico momento in cui si percepisce uno spirito di fratellanza in un paese multiculturale unito dal tifo per la nazionale di calcio in una gioiosa sintesi interetnica. Subito dopo infatti si continua con una panoramica della periferia di Montfermeil, dove lo scrittore aveva ambientato alcune scene del suo romanzo e dove comincia il primo giorno di lavoro dell’agente Ruiz, all'interno di un corpo di polizia dai metodi poco ortodossi. Insieme ad altri due agenti, incrociano il "Sindaco" e il suo braccio destro, impegnati a farsi strada come boss del quartiere e a fare affari con delinquenti locali dediti allo spaccio, poi incontrano i Fratelli Musulmani e il loro leader, Salah, schedato come pericoloso perché insieme ai kebab dispensa il suo pensiero pacifista e rivoluzionario. Ly adotta il punto di vista del nuovo arrivato, deriso dai compagni, per la sua meticolosità, costretto a sporcarsi le mani a causa delle gesta dei nuovi compagni, balordi che adottano, in nome di una fantomatica “legge”, comportamenti guasconi e prevaricatori, incapaci a mediare efficacemente, in un quartiere già segnato da divisioni, tensioni e divergenze etniche. Il recupero di un cucciolo di leone rubato a un circo sfocia in un inutile e assurdo atto di violenza perpetrato da uno degli agenti ai danni di un bambino. Il tutto viene ripreso da un drone, telecomandato da un altro ragazzino, che diventa una prova scomoda che attesta l’azione criminale dei poliziotti, una prova che va recuperata a qualsiasi costo e allora comincia il concitato inseguimento per evitare che il filmato arrivi nelle mani sbagliate causando problemi. Tutti finiscono per interessarsi a quella clip, per ragioni diverse, i poliziotti per evitare guai e altre gang per ricattarli.

Sembra un pretesto e lo è perché è di pretesti che si vive in questa parte della metropoli periferica e squallida. Pretesti per scontrarsi, odiarsi, alimentare intolleranza e prepotenze La telecamera indugia impietosa riprendendo palazzi popolari, strade anonime e negozietti sudici. Il contestodiventa protagonista, per le esistenze di ragazzi in un ambiente degradato dove, non esistono regole, dialogo e perdono. A metà strada tra il poliziesco e il dramma, refrattario alla Parigi scintillante e patinata che il cinema di solito si ritrova a celebrare, Ly preferisce stare sui personaggi, seguirli lungo corse, negli scontri e nelle sparatorie. Attraverso una regia dinamica nel restituirci l'affanno dei protagonisti e la claustrofobia delle scene più concitate, Lady Ly tira fuori da ogni attore, una naturalezza genuina e coerente con il crudo realismo che attraversa tutta la storia. Un inarrestabile climax di violenza che racconta meglio di qualsiasi parola tutto il vuoto umano e sociale delle banlieue Parigine, con uno stile semi-documentaristico, ci mostra un mondo diviso da continui scontri interni che sfociano quasi sempre in cieca violenza. I bambini, crescono abbandonati a se stessi, in una periferia anarchica e laida, giocando in mezzo a pericolosi oggetti abbandonati e cominciando presto a mettersi nei guai. I poliziotti spesso commettono abusi di potere sfangandola e ciò fa scattare perversi meccanismi di rivalsa.

I leoni del circo rappresentano una metafora efficace di questa parte della società ingabbiata entro i confini della periferia, che coltiva una rabbia repressa che sfocia in violenza che a sua volta ne genera altra, e diventando la solita guerra tra poveri. Come esprime la scena in cui il bambino che ha rubato il cucciolo si trova di fronte al leone adulto. Così come  il poliziotto Gwada un ragazzo di colore, autore dello sciagurato gesto, che in quella periferia è cresciuto, ma che adesso si trova dall'altra parte finendo per perpetuare lo stesso odio e lo stesso schema di sopraffazione, da cui probabilmente aveva cercato di tirarsi fuori.

Un poliziesco che abbraccia il dramma sociale, un film duro e feroce, che racconta un inferno sub-urbano. Il regista parigino evoca i temi portanti della lotta sociale, delle strade che diventano campi di guerriglia, della città dipinta con disincanto e terrore. Ispirato all'omonimo cortometraggio del 2017 diretto dallo stesso regista e qui efficacemente ampliato e sviluppato. “Non ci sono ne' uomini ne' erbe cattive, soltanto cattivi coltivatori”. Chiosa del film e didascalia estrapolata dal capolavoro di Victor Hugo, messaggio diretto e laconico che esplicita il significato del film girato dal regista Ladj Ly, anch'egli proveniente da una delle tante banlieue parigine,

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