Regia di Ladj Ly vedi scheda film
Tra citazioni di Victor HUGO e reminiscenze di KASSOWITZ e Spike LEE il regista Ladj LU firma un interessante e incisivo apologo sul cuore pulsante delle banlieu.Un film vitale e di questi tempi molto necessario.
Non vi sono nè vincitori nè vinti in questo bellissimo apologo sulle banlieu francesi,ispirato a fatti realmente accaduti nel 2005 a Parigi,dove lo sguardo del regista di origine africana Ladj Lu entra con consapevolezza e grande conoscenza del territorio con le sue problematiche.
Il favoloso incipit iniziale mostra però dei dettami di uguaglianza e fratellanza sociale,con bandiere francesi svettanti all'ombra della Tour Eiffel o de L'Arc du Triomphe.Stendardi e gagliardetti tricolori sorretti da un misto etnico che nella vittoria francese del mondiale di calcio rappresentano al meglio il motto francofono di "libertè,egalitè e fraternitè".
Ma tutto ciò dura un lasso di tempo che ci riporta alla realtà quotidiana di due poliziotti, Chris e Gwana, l'uno bianco e l'altro di colore che accolgono il neocollega Stephane. I metodi dei primi sono alquanto discutibili nell'affrontare i disagi della periferia parigina, con giornate all'insegna di pattugliamenti più o meno leciti e dei rapporti fatti di compromessi e scambi con le varie gang. Il neopoliziotto Stephane si mostra da subito intollerante verso il "modus operandi" dei colleghi,ma deve obbedire comunque ad uno status gerarchico.Da bravo ex documentarista il regista ci trasporta in un mosaico di "facce giuste",un "melting pot" di colori e religioni,che spaziano dai neri che s'arrabbatano nei mercati con roba contraffatta sino ai musulmani radicali che sfornano kebab discettando sermoni su Allah,vi sono poi i nerboruti e tatuati gitani da circo che scombinano le carte per un furto di un piccolo leone perpetrato ai loro danni.
"I Miserabili" sin dal titolo utilizza citandolo,il capolavoro di Victor Hugo,celebre parigino che descrisse luci e ombre della "Ville lumierè",ma in questa indagine filmica vi è una Parigi marginale e dimenticata, fatta di etnie disagiate e abbandonate dallo stato.Come nello straordinario "L'Odio" di Kassowitz del 1995, la polizia rappresentava un sistema abusante di potere che ritroviamo in questo piccolo capolavoro di oggi, ma gli sbirri "Miserabili" fanno comunque parte della stessa medaglia di arabi e africani smistati tra casermoni,bancarelle e kebabberie.
Il regista rappresenta almeno gli sbirri Chris e Gwana come un sottoprodotto della società che si è trovato dalla parte "giusta" , ma per comportamenti e "vis" rientra a pieno titolo in un tessuto sociale incancrenito.
L'unica rappresantazione di una coscienza civile in questa bellissima opera prima l'abbiamo nel poliziotto Stephanè,interpretato da Damien Bonnard,attore dal viso atipico alla Vincent Cassel,molto convincente nei panni di un poliziotto che amministra giustizia in modo lecito.La sua figura è una sorta di spartiacque che taglia in due il film,donando un senso e un moto di speranza.
Il punto nevralgico della storia avviene per un banale furto di un cucciolo di leone da un circo di gitani che scatena una caccia all'uomo spietata,utilizzando per la ricerca moderni strumenti giovanili come il social Instagram.Se la prima parte si concentra in un impianto sociologico e la telecamera cristalizza volti e quotidiano di sbirri e fuorilegge,la seconda diventa più nevrotica, inseguendo con la camera a mano i protagonisti in un surplus di abusi e violenze.
La ricerca del leoncino porta i poliziotti a commettere un abuso ai danni del responsabile del furto,di cui il poliziotto Stephane ne prende le difese,vi è però un piccolo e simpatico nerd delle Banlieu che oltre a filmare avvenenti ragazzine col drone,filma i soprusi dei poliziotti divenendo un bersaglio ricercato.
A questo punto il film diventa teso e avvincente ,dettato da un forte imprinting sociologico,nel mostrare la rabbia di ragazzini emarginati e vessati dalle forze dell'ordine.Avvalendosi dell'ottimo cast,il regista filma e descrive impeccabilmente l'humus infuocato di periferie al cemento dove attaccare è l'unica possibilità di ribellione verso una legge corrotta.
Straordinari per intensità e potenza visiva le riprese dall'alto che mostrano i tafferugli,così come gli inseguimenti che riportano in auge un certo cinema poliziesco all'americana.
Il cuore della rivolta sembra dire il regista è in quella zona oscura del sociale,di un mondo che sopravvive come può,alla base di una legge e un codice creato dai luoghi e dalle circostanze.
Una teoria che si evince in questo film a metà strada tra la visione radicale e manichea di Spike Lee e la corruzione della polizia vista in "TrainingDAY", in mezzo vi è la lettura documentaristica e cruda de "l'odio" di Kassowitz per un film mirabile nello stile e nelle congetture sociali.
Il finale è poi sospeso in un limbo aperto e bruciante dove i vincitori non esistono, quello che conta è che "NON ESISTONO CATTIVI UOMINI O CATTIVE ERBE,MA SOLO CATTIVI COLTIVATORI" come disse il maestro Victor Hugo nel suo capolavoro "I miserabili".
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