Regia di Ladj Ly vedi scheda film
Non c'è alcun Jean Valjean, così come il riferimento al notissimo romanzo omonimo di Victor Hugo si cela soltanto dietro un paio di dettagli. C'è invece Montefermeil, periferia parigina, stesso spazio geografico dove il grande scrittore francese ambientò il suo capolavoro, trasformato oggi in banlieu, una polveriera costantemente sull'orlo dell'esplosione, nella quale vige la legge del più forte: gente di colore, zingari (sic), bande di ragazzini magari dotati anche di tecnologie usate come armi ricattatorie. E ci sono i poliziotti. Tre. Uno di loro (Bonnard), coscienzioso e ligio alla deontologia professionale, sta per vivere il suo training day al comando di un agente (Manenti) sempre sopra le righe, aggressivo e irresponsabile, che per sedare la contesa tra gruppi malavitosi rivali (per via del furto di un cucciolo di leone) mette sé stesso e i suoi in un groviglio senza ritorno.
Al suo esordio in un film di finzione, Ladj Ly - regista francese originario del Mali - firma un gioiello che è nipotino della grande tradizione del noir transalpino (Il commissario Pelissier) ma che arriva fino a L'odio di Kassowitz con le sembianze di un western metropolitano. In questo thriller ad altissima tensione non troviamo alcuna lezione sociologica, nessunaanalisi peculiare, ma lo straordinario piglio salomonico con cui il regista riesce ad allinearsi all'epigrafe che chiude il film in uno spiazzante quanto indovinatissimo foundu: la frase di Victor Hugo secondo la quale "non esistono erbe o uomini cattivi, ma solo cattivi coltivatori". Non è una sopresa, dunque, che al festival di Cannes del 2019 il film abbia vinto il premio per la migliore regia, né che abbia fatto incetta di premi ai Cesar, gli Oscar francesi.
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