Regia di Ladj Ly vedi scheda film
"Longue vie à la France!"
Si apre con i festeggiamenti della coppa del mondo “I miserabili “ di Lady Ly, immagini di bandiere francesi che sventolano, e canti di vittoria, frammenti di giubilo ed unità che più false non si può. Perché finita la sbornia, si torna a casa, a Montfermeil, sobborgo alle porte di Parigi, dove i più deboli ed i reietti vengono lasciati a marcire.
Poi si va in strada. Una giornata qualunque della squadra anticrimine, composta dal capitano Chris (Alex Manenti, anche sceneggiatore), Gwanda (Djibril Zonga), nero e musulmano, ed il nuovo arrivato Stephane (Damien Bonnard), una sorta di coscienza dello scombinato trio.
Il furto di un cucciolo di leone scatenarà l’inferno.
Opera prima del regista africano Lady Ly,
"I miserabili" di fatto è un lavoro quasi biografico che trae spunto dalle reali esperienze vissute dal regista, nato e cresciuto da quelle parti. Una società malandata , vittima dell'indifferenza, che si difende come può, nominando i propri rappresentanti di giustizia : il “Sindaco”, Slim, Salah. Neri, musulmani, spacciatori, zingari. Tutti protesi alla ricerca di un ordine che ne tuteli gli interessi, o la sopravvivenza. Tutti collusi e vittime dell’intreccio indissolubile fra sopraffazione e violenza, che ne ribalta continuamente i ruoli e le prospettive. Da vittime a carnefici, e viceversa.
E poi ci sono i poliziotti. Anche loro profondi conoscitori della periferia e delle sue dinamiche di connivenza, squali che circumnavigano le strade in cerca di un pretesto per abusare della propria autorità, ma non senza conseguenze.
“I miserabili “ mette in scena questa profonda crisi di valori, che ha intaccato come un virus il tessuto sociale sfilacciandolo in maniera oramai irreparabile, senza spiegarne alcuna motivazione, ma prendendone semplicemente atto.
Questo disagio si riflette in dialoghi ampiamente scurrili, messi in bocca a personaggi che solcano la periferia come malinconici clown, attraverso quella che è una vera e propria giungla urbana, fra palazzi bunker e complessi , una volta residenziali, ora spettrali e covo di ostentato degrado.
A differenza de “La Haine” di Kassovitz (che rimane lassù) e di “Ma 6-T va crak-er” (opera semisconosciuta e fondante di Richet, da recuperare) , il colpo che davvero mette a segno Lady Ly, non è tanto nel lavoro dal basso che getta fra i vicoli del quartiere (molta camera a mano che tallona i protagonisti, diversi piani sequenza), o dall’alto (attraverso il drone del ragazzino nero, un occhio di falco onnisciente che di fatto identifica lo sguardo dello spettatore) , quanto nello spostare l’attenzione ed il male sui bambini, la cui condizione, priva di ogni ammortizzatore sociale e familiare, deraglia a briglie sciolte in preda ad un impeto di rabbia sopita, la cui purezza non solo è brutalmente infranta, ma è persa per sempre, come mostra il feroce epilogo, nero come la pece.
A pensarci bene, il passaggio è tremendo.
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