Regia di Kantemir Balagov vedi scheda film
Come nel precedente "Tesnota", Balagov riporta il racconto all'essenzialità cinematografica dei gesti, delle immagini catalizzatrici di un sentimento o della sua soppressione. Perché di questo ci parla "La ragazza d'autunno": di un luogo e di un'epoca genitrici di una società all'interno della quale le necessità dello spirito venivano zittite e con esse la spontaneità dell'emozione. Un cinema di colori, di cromatismi furenti, di visioni simboliche che non si dimenticano, come un volto stropicciato da una mano. Ma anche e soprattutto un cinema flemmatico, di una lentezza a tratti estenuante, fastidiosamente dissonante col realismo così pedantemente inseguito. Frasi che richiedono minuti per essere pronunciate, battute dalla cadenza dilatata a dismisura. I difetti de "La ragazza d'autunno" lasciano purtroppo intravedere l'opera autoreferenziale ed esuberante di un fu esordiente stordito dal successo critico del proprio - cionondimeno superiore - esordio.
Al centro del film c'é un desiderio folle, una volontà irrazionale ma in fondo umana, disposta a tutto pur di essere madre. Balagov la insegue, analizza, finge forse di contrestualizzarla nel proprio tempo salvo alla fine ammantarla di universalità. Forse per dirci che i tempi non sono cambiati, ma che nemmeno l'amore - se è puro e determinato - é suscettibile di alcun deleterio mutamento. Un ottimo lavoro di regia che non può eludere i propri tempi morti, che a differenza del già citato "Tesnota" inciampa (troppo?) spesso nel gestire frontalmente il coinvolgimento emotivo di chi guarda.
Finale meraviglioso, aperto, estatico, che ormai pare cifra stilistica dell'autore.
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