Regia di Kantemir Balagov vedi scheda film
Quando l'infermiera Iya ha uno dei suoi blackout, uno strano stato di ipnosi quasi epilettica ma senza convulsioni, il mondo si ferma, tutto tende ad attutirsi. In realtà però va tutto avanti, con conseguenze talvolta catastrofiche. Kantemir Balagov racconta l'amicizia/attrazione fra le due protagoniste, Iya e Masha, scandendo i tempi e la narrazione con ellissi, silenzi, improvvisi rallentamenti, come se la realtà nel suo flusso fosse costantemente intralciata o minacciata dai blackout di Iya. Diventano dunque proprio quei momenti, i silenzi, i nodi fondamentali in cui il film agisce, i perni di un procedere emotivo che si mostra silenzioso e in realtà, se potesse, ruggirebbe. Non è neanche detto che si tratti di attese, potrebbero essere semplicemente delle pause, degli istanti in cui tutta la vicenda subisce una precisa traduzione nelle espressioni mute delle abili attrici protagoniste, vittime certo di un mondo negli anni 40 demolito dalla seconda guerra mondiale (siamo a Leningrado), ma anche speranzose di divenire artefici del proprio destino, nonostante tragedie, morti, malattie e devastazione. Sempre a un breve passo dal miserabilismo, e ad un passo altrettanto breve dall'enfasi arty, il regista russo riesce sorprendemente a trovare un saggio equilibrio fra le parti, il che gli consente di portare sulla tavola davvero moltissimi momenti ad alto potenziale patetico che però sono stemperati, nella loro rischiosa degenerazione, da un taglio improvviso, da un gesto imprevisto, da una deviazione che ci tiene a un'opportuna distanza. E attenzione, non si tratta di una distanza confortevole, dalla quale lo spettatore si ritrovi nella posizione di giudicare; talvolta è anche una distanza sgradevole, impossibile, che non ci permette di capire a fondo quale sia la vera malattia di Masha, tanto ossessionata dal voler avere un nuovo figlio al ritorno dal fronte di guerra. Il mondo di Beanpole, traducibile con 'spilungone' (si parla di Iya, la grande femme del titolo francese, che vive la sua altezza spropositata come un vero e proprio handicap), è un mondo talmente devastato che i sentimenti fra le persone diventano necessariamente deformazioni, deformanti pretese assurde che però sono sincere richieste di aiuto, di vicinanza e di affetto.
Pur non esplicitandolo mai, ma accennandolo con un silenzio scenico che diventa proprio matrice di quell'incredibile equilibrio di cui sopra, Balagov riesce a raccontare una storia umana di eventi inumani, shockando quando opportuno ma sempre con i tempi che sembra suggerirgli il buon gusto. Così da rendere accettabili svolte narrative che impiegherebbero poco a divenire forzate, e che in mani meno coscienti sarebbero entrate facilmente nel regime dello stucchevole andante.
Teniamo d'occhio la brava Vasilisa Perelygina. In certe espressioni e in certi sorrisi sembra una Scarlett Johansson russa.
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