Regia di Vadim Perelman vedi scheda film
Lezioni di persiano (2020): Nahuel Pérez Biscayart
Nonostante sia ambientato in un campo di concentramento "Lezioni di persiano" non è un classico film sull'Olocausto. Tratto dal racconto "Erfindung einer Sprache" di Wolfgang Kohlhaase racconta una storia ispirata a fatti accaduti in un lager nazista ma filtrata dalla penna dello scrittore che ha messo per iscritto una testimonianza sentita, a suo dire, da un amico. Il film sembra dunque non avere ambizioni di storicità e l'ispirazione del romanziere, poi, dello sceneggiatore Ilja Zofin ed, infine, del regista ucraino/canadese Vadim Perelman, che ne ha curato la realizzazione, sembra rivolta allo sviluppo di un dramma da camera di ambientazione storica. Perelman si focalizza sullo stretto rapporto tra i due protagonisti ovvero "il persiano" Gilles e l'ufficiale delle S.S. Klaus Koch e sulla complessità del loro rapporto di vittima e carnefice lasciando, di fatto, in secondo piano la questione ebraica e la Shoah. Ciò non comporta la mancanza di scene di efferata violenza nei confronti degli ebrei. Siamo pur sempre al di là di un filo spinato ed una scodella di brodaglia slavata assieme ad una mano stampata nella piastra rovente lasciano il segno riportandoci, senza troppe difficoltà, al realismo spielberghiano di Schindler's List. Le tragedie sono, dunque funzionali allo sviluppo delle vicende che ruotano attorno all'ebreo di Anversa che sopravvive ad una rastrellata fingendosi persiano, per dare poi lezioni di farsi all'ufficiale delle S.S. responsabile delle cucine del lager. L'evoluzione dei personaggi è l'obiettivo principale di questo Kammerspiel in cui avviene l'impensabile ossia un progressivo livellamento morale tra l'ufficiale ed il prigioniero. Ciò è molto evidente nella figura di Koch la cui presentazione ci mette di fronte alla figura di un gerarca senza scrupoli che si abbatte con egual veemenza sui prigionieri, sui soldati e su di un membro del corpo femminile delle S.S. incapace di tenere in ordine i registri. Dopo il violento pestaggio ai danni del suo insegnante, tuttavia, l'atteggiamento di Koch muta mostrando un uomo dagli impensabili slanci umani e dal passato funestato da drammi e difficoltà. L'ebreo, invece, man mano che la prigionia si allunga, si avvolge in una corazza di indifferenza e solitudine, innalzata per sopravvivenza, che viene scalfita in poche occasioni per prestare soccorso a qualche sventurato.
Lezioni di persiano (2020): Lars Eidinger
"L'invenzione di una lingua" è la traduzione del titolo di Kohlhaase. È bene ritornare sul titolo dell'opera da cui il film è stato tratto proprio perché la lingua che il "persiano" crea pelando patate e distribuendo il rancio segna il film per due motivi. Per prima cosa garantisce, insieme ad altre mille altre tragiche coincidenze miracolose, l'allontanamento dalla morte. Un po' come avvenne al "fortunato Salomon Perel" di "Europa, Europa!" risparmiato da un destino beffardo, ironico ed incredibile. In secondo luogo il "farsi" consente ai due uomini di abbattere le barriere culturali e razziali che il loro ruolo impone. Centrale e molto bella è la sequenza in cui Koch si spoglia, metaforicamente parlando, della propria divisa nazista, per intonare il proprio disagio e purificare le proprie ferite. La nuova lingua, conosciuta solamente da Gilles e Klaus lima le asperità e permette al superiore di aprirsi con il sottoposto rivelando sprazzi di umanità altrimenti impossibili da svelare nell'agghiacciante sistema di distruzione delle vite umane organizzato dai tedeschi. Il film si chiude sui due uomini e sulle opposte emozioni vissute. L'ultima sequenza contiene la rabbia di una vendetta immaginata per anni e preparata con lungimiranza, e l'amarezza di una sfilza di nomi, spesso impronunciabili, biascicati come tante Ave Maria. Troppi perché basti un singolo rosario a recitarli tutti.
Cinemalcastello - Castello di Romeo - Montecchio Maggiore (VI)
Lezioni di persiano (2020): Lars Eidinger, Nahuel Pérez Biscayart
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penso sia un buon film...grazie Roberto.
È un film indubbiamente ben fatto per quanto concerne lo sviluppo delle personalità ed il cromatismo. Luci e colori sono del resto fondamentali per un Kammerspiel perché creano drammaticità anche in assenza di azioni clamorose. E qui molto spesso sono i dialoghi a prevalere su tutto. Magari ci sarebbe da discutere sull'opportunità o meno di raccontare la Shoah attraverso storie che hanno poco di veritiero. Questo si. E questo è, tutto sommato, il motivo di un giudizio sintetico non così esaltante.
Ciao Ezio
Grazie
Condivido il tuo taglio critico. Credo che il taglio un po' televisivo sia l'elemento che penalizzi un film comunque ben confezionato. Ciao.
Sono sempre nell'ordine delle idee che si dovrebbero raccontare storie vere quando si parla di Olocausto. Soprattutto perché ce ne sono molteplici mai portate al cinema. In questo film c'è forse più confezione che contenuto. Comunque si lascia guardare lasciando qualche interessante spunto di riflessione. Sullo stesso argomento ho visto di peggio.
D'accordo, tipo "Il servo ungherese", ad esempio. Se non lo conosci, mi permetto di suggerirti "L'isola in via degli uccelli", del regista danese Soren Kragh Jacobsen
Permettiti ogni volta che ne hai occasione! Terrò ben presente ogni tuo suggerimento. Roberto
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