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Nomadland

Regia di Chloé Zhao vedi scheda film

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La recensione su Nomadland

di Antisistema
5 stelle

Un Leone d'oro e tre oscar come miglior film, regia e attrice protagonista, dovrebbero essere delle belle argomentazioni da parte della regista cinese naturalizzata statunitense Chloè Zhao, la quale approfittando della condizione avvantaggiata di cui godono le minoranze in questo periodo, è riuscita a spacciare per arte questo Nomadland (2020), di cui s'è fatto gran parlare, quando in realtà vale molto meno di ciò che la critica USA ed i premi dicano in giro. 
Partendo da uno spunto interessante, della perdita di un lavoro fisso, della casa e del marito Bo da parte di Fern (Frances McDormand), la donna sessantenne prende il suo furgone e lo adibisce a casa, conducendo un'esistenza nomade girovagando nelle immense strade e distese dell'entroterra americano facendo conoscenza con vari personaggi che conducono tale esistenza, volenti o nolenti, che affiancano la donna nei momenti in cui ella si ferma nei vari posti; tra cui Bob Wells che snocciola concetti scialbi sulla vita nomade che mano a mano diventano sempre più fumosi ed evanescenti, così come il Dave interpretato da David Strathaim, unico altro attore professionista in mezzo ad altri veri nomadi, il cui personaggio però finirà per portare dei danni "ideologici" al film della Zhao, poichè la regista mano a mano che procede la pellicola, perde sempre più di mano la narrazione, che a lungo andare si sfilaccia in un rivolo ultra-frammentato di brevi quanto scialbe sequenze, molte delle quali durano appena qualche secondo, che purtroppo portano disperdere molto del potenziale emotivo riguardante la protagonista e ciò che la circonda, dovuto anche al fatto di adottare un punto di vista estremamente privato e personale, incurante delle cause che hanno portato Fern a condurre tale esistenza vagabonda.
Fern a 60 anni ha perso tutto, un'indagine partendo dalle cause sociali del suo essere costretta ad un'esistenza nomade sarebbe stato senz'altro molto più interessante alla luce delle debolezze mostrare dalla Zhao alla scrittura, rivelatasi estremamente fragile e da un montaggio troppo breve e frammentato, da lei stessa curato in un atto di enorme egocentrismo (rimane inspiegabile la nomination agli oscar), che distrugge ogni possibile caratterizzazione, procedendo poi per accumulo di situazioni ripetute abbastanza allo sfinimento. 
La sorella della protagonista molto didascalicamente dirà che Fern con il suo essere nomade, recupera l'essenza dello spirito americano come i vecchi pionieri del west, ma in tale affermazione ad uso e consumo per un pubblico idiota che non aveva ancora capito ciò che era già chiaro, risiede un pò tutto il fallimento dell'operazione, poichè la Zhao con una pellicola che in realtà dovrebbe de-strutturare le fondamenta del mito americano (anche se ironicamente portate avanti dai suoi protagonisti), de-responsabilizza il sistema capitalista americano colpevole della grande crisi del 2008 (di cui Fern è vittima), perchè in fondo la donna un tetto stabile lo avrebbe pure grazie alla sorella (ed un ulteriore altra occasione l'avrebbe avuta con Dave).

Frances McDormand

Nomadland (2020): Frances McDormand


L'essere nomade da parte di Fern quindi è alla fine una scelta privata, ciò rassicura lo spettatore medio, il quale percepirà la decisione della protagonista non come un atto subito per cause esterne, ma una scelta "alternativa" e un pò sballata, però in fondo perfettamente voluta ed auto-consapevole, quando la realtà dei fatti è estremamente differente (sono stato testimone di persone che obbligate a vivere nella loro macchina, girando stagionalmente in vari posti per trovare un lavoro  stagionale, poichè non hanno più niente). 
Ispirata ai canoni della docu-fiction, la Zhao mette in bocca ai veri nomadi concetti e frasi sempre più artefatti e fasulli, portando a sfumare sempre più nell'inconsistenza il suo Nomadland, che vaga senza una precisa meta, come la protagonista, allora talvolta la regista riempie la pellicola di numerosi simbolismi come il dinosauro, le sequoie giganti, il sole all'orizzonte etc... ma questa ipertrofia della natura dice nulla, perchè le immagini non vivono per la narrazione, ma subiscono l'ego artistico di una cineasta alla sbando, che vuole tanto essere autrice, ma in realtà quello che confeziona è una parodia di un film d'autore, incurante di vere pellicole sull'argomento come il Furore di John Ford (1940), quello si cattivo e spietato verso le istituzioni responsabili dell'esodo senza meta di migliaia di persone strappate dalle proprie radici, privandole di un futuro, ma senza andare troppo indietro alla Zhao manca quella poetica della dignità umana degli scarti del capitalismo propria del suo connazionale Wang Bing nei suoi documentari anti-capitalisti come Il Distretto di Tiexi (2003), così come la vera poesia road-movie di come poteva essere un difettoso, ma efficace, Convoy - Trincea d'Asfalto di Sam Peckimpah (1977), lui si un regista americano al 100%, profondo conoscitore del tema del pionierismo in una società dove oramai è tutto costituito, ma i suoi camionisti se ne infischiano sul serio delle regole imposte da essa seguendo ciò che gli dice l'istinto personale; un vero film contro, non è un caso che a differenza della Zhao, il povero Sam Peckimpah, lui si vero genio, non è mai stato riconosciuto come grande maestro e agli oscar non abbia vinto mai nulla. 
Incerto nella regia, con un montaggio claudicante ed una scrittura fragile negli intenti, un minimo di barra a diritta se la possiede è solo grazie alla brava Francis McDormand, il suo volto scavato e scarnificato anche dall'età che avanza, la rende credibile nel ruolo scelto, certo, ci si può lamentare degli eccessivi primi piani concessi (l'attrice è produttrice del film), però indubbiamente salva più volte il film dal ridicolo dovuto a molte sequenze ripetitive con lei al contatto con la natura (scogliera, sequoia, fiumiciattolo, steppa e così via), seppur oramai si è consolidata nel proprio ruolo di donna dura dall'espressione imbronciata, un terzo premio oscar esagerato quindi, dovuto certamente alle circostanze eccezionali della pandemia, però se non altro mette fine alla dittatura ultra-trentennale di Meryl Streep come miglior attrice vivente, quindi solo per questo c'è da gioire, si spera quindi che il suo regno sia di gran lunga più democratico rispetto a quello oppressivo-mediatico della collega; per il resto c'è tanto nomadismo e vagare di facciata, una regia da Sundace festival, con un occhio ad un indie artefatto nonostante le luci naturali ricercate, ma con un sentimento da scatola Amazon, la cui multinazionale permette alla nostra Fern di avere di che sostentarsi mentre si toglie lo sfizio di condurre la vita in un van, ennesimo cortocircuito di una regista senza meta allo sbando, pronta per la marchetta alla Marvel con Gli Eterni (leccata di culo preannunciata dal film di The Avengers che campeggiava sulla facciata del cinema a cui Fern si avvicina). 

 

Frances McDormand

Nomadland (2020): Frances McDormand

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