Regia di Chloé Zhao vedi scheda film
I cinefili delusi, che si aspettavano un documentario, forse potrebbero apprezzare l’insolito narrare che raccoglie – in modo originale – suggestive e frammentate immagini evocatrici di grandi film del passato, decontestualizzate e fatte rivivere per testimoniare una cultura che non deve morire.
Una bella sorpresa questo rientro in sala per me. Per fortuna le storie vere non sempre si traducono in documentari senz’anima, perché la verità, nel cinema come nell’arte, è quella del cuore dell’uomo.
Anche Fern (meravigliosa Frances McDormand) lo aveva imparato nel corso degli anni, attraverso la cognizione del dolore, che l’aveva resa lucida e combattiva fino alle soglie della terza età: così la vediamo all’inizio del film quando ha appena oltrepassato la sessantina.
Dopo gli anni belli e pieni di speranza, quando era una giovane supplente nella scuola, aveva dovuto via via accettare impieghi meno importanti e meno gratificanti, ai quali si era sempre adattata, dappertutto stringendo amicizie vere e rapporti di solidarietà, cosicché, quando l’ultima fabbrica del suo lavoro “a tempo indeterminato” , a Empire, nel Nevada, aveva dovuto chiudere la produzione di cartongesso, aveva cercato di rimaner ancorata almeno alla casa, nel villaggio dei lavoratori adiacente, finché (era stato abolito persino il CAP), dovendo allontanarsene, si era messa in viaggio portando con sè le poche cose che avrebbero contribuito – nel corso degli anni – almeno a non dimenticare chi era stata, chi aveva conosciuto, e anche l’uomo che, nella salute e nella malattia, aveva amato e accompagnato a morire.
Era partita, allora, come i pionieri contro il corso del sole, verso il West dei grandi deserti e dei grandi miti americani, a bordo di un vecchio fuori strada, organizzato come una monocamera nella quale non mancavano le cose indispensabili a sopravvivere con la propria identità: aveva ancora le forze fisiche per accettare anche i lavori più faticosi, e molta voglia di conoscere l’umanità e di scoprire le bellezze dei luoghi, della natura selvaggia e libera, fra i nidi delle rondini e i reperti fossili, testimoni di antiche, precedenti civiltà.
Era diventata nomade, anche per scelta, ritrovando qualche volta sulla strada gli amici di un tempo, qualche ex collega mentre nuovi amici si aggiungevano, ne seguivano il percorso per brevi tratti, sapendo per esperienza che sulla strada nessuno si perde per sempre e che tutti, prima o poi si ritrovano…
Sinceramente temevo l’aridità della denuncia documentaristica: in fondo sarebbe stato più facile riflettere sull’americano medio, costretto a sopravvivere “mendicando sua vita frusto a frusto” in una nazione che l’aveva illuso dapprima, per degradarlo poi senza pietà.
Il film invece diventa la rappresentazione potentemente simbolica di un viaggio fatto di avventure impreviste, di ritorni e anche di soste non sempre programmate, che infine coincide col percorso della vita stessa.
È ben vero che i titoli di testa ci avevano parlato di una storia vera, all’origine del film, fornendoci anche le informazioni sul tempo e sui luoghi del suo avviarsi, tuttavia diventa sempre più evidente che la storia di Fern è la storia di tutti noi, del nostro inevitabile muovere verso infiniti spazi (vuoti?) dei quali il deserto, sempre più gelido e nebbioso, ci appare un po’ alla volta una bellissima rappresentazione metaforica
Si avverte la dolcezza di uno sguardo diverso, quello orientale e femminile della regista* che trova nell’intelligenza interpretativa di Frances Mc Dormand l’ideale espressività per rendere vero, profondamente, il viaggio, on the road di tramonti malinconici e vieppiù cupi, nonché indagine sul senso del rinnovarsi della vita, del suo continuare oltre la morte individuale, quando i nostri corpi rientreranno nel ciclo naturale della distruzione e delle rinascite, e forse qualcuno raccoglierà la memoria di noi e di ciò che abbiamo dato agli altri, ciò che davvero conta.
*La regista è la pechinese Chloé Zhao, ottima conoscitrice della cultura occidentale, e del suo cinema, grazie agli studi portati avanti fra Londra, New York e Los Angeles.
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Sono lieto di questo tuo rientro entusiasta in sala. Il film era quello giusto per la ripartenza. I paesaggi sconfinati dell'America meritavano il grande schermo. Del resto hai già detto tu.
Ciao e buona settimana. Roberto
Meritavano anche la bellissima versione originale - nessun doppiaggio potrebbe rendere il particolare slang dei personaggi - che è di due ore e non di 108 minuti come qui dice la scheda del film. Un film fra i più toccanti degli ultimi anni. Grazie Roberto, buona settimana e buon cinema, finalmente!.
Lilli
Io l'ho visto in lingua originale a Venezia. So bene che non c'è niente di meglio.
;-)
Documentario freddo, ohibò, me lo segno. Peccato, invece, che il film - tra il furbetto ( "Frances tra i nomadi" sa tanto di radical chic, figurarsi attrice prestata a Sorrentino, a McDonagh e altri presunti uomini di denuncia...) e il patetico ("..ci vediamo lungo la strada") - resti distante da qualsiasi cosa: denuncia, pathos, commozione e infine opti per una "scelta", con premesse iniziali diverse. Quanto al girato, "la tecnica documentaria", visibile in tutte le opere che utilizzano questo stile (Dardenne in testa) è tranquillamente utilizzabile per parlare di qualsiasi tematica. Però, va motivata: ben lontana da un Lynch di altmaniana memoria ("Una storia vera"), l'abile Zaho gioca con il suo personaggio, tra treccine ed "Eterni", senza assolutamente commuoverci. cerca prima uno stile, poi una forma, infine ripiega sul narrato. Naufragando. Però, rispetto l'opinione di chi ha occhi diversi. Un caro saluto!
Un'altra volta, carissimo, segnati qualcosa che io abbia davvero scritto!
...troppo sfizioso (passami il termine) discutere con te: ma il mio commento parla di ciò che ho visto io, né segnala qualcosa, cara laulilla, che tu abbia scritto. Tuttavia, l'idea che un documentario sia senz'anima o che ci sia "aridità in una denuncia documentaristica" mi sembra significhi che in generale, e posso convenire con alcuni prodotti, tu ritenga che "il documentario sia freddo", e questo, per me, contrasta con l'idea stessa del documentario che, quando non è un redazionale, è sempre acceso, caldo, passionale. Ed è quella, in fondo la differenza tra cinema e docu.Poi, che il cinema sia impostato per emozionare (e ci riesce sempre poco...) è un'altra cosa. Ma posso garantirti, dall'interno, che la base del documentario ( e puoi pensare a tutti i lavori della Guzzanti, di Michael Moore, dello stesso Rosi, quando è in stato di grazia - non ultimamente, eh - oppure al meraviglioso "Searching for Sugar Man", ultimo lavoro che mi ha fatto piangere, così come tanti altri lavori, da Frederick Wiseman a seguire) che il documentario si progetta per essere un oggetto in grado di commuovere.
Io ti invito, caro Maurizio a trovare in tutto il mio pezzo la parola freddo riferito a un mio giudizio sul documentario, come genere cinematografico.
Ho parlato di aridità ma guarda che aridità e freddezza non sono sinonimi: nei deserti, aridi quasi per antonomasia, fa molto caldo!
Documentario senz'anima l'ho scritto, come mio timore, ma non ho mai scritto che tutti i documentari siano senz'anima: le generalizzazioni di questo tipo non mi appartengono. Ti dirò anzi che fra i miei post puoi trovare :
https://www.filmtv.it/post/37155/tintoretto-dalla-letteratura-al-documentario/#rfr:user-71012
https://www.filmtv.it/post/33721/a-proposito-di-fuocoammare/#rfr:user-71012
ovvero due articoli in cui dedico attenzione positiva a due documentari, a mio avviso notevoli..
Non dubito che anche su questi troverai modo di eccepire, da buon controversista...
Mi fa piacere che tu trovi sfiziose le discussioni con me.
Le trovo sfiziose anch'io che vi leggo. ;-)
Tu quoque... Chi l'avrebbe detto? ;-)
Per colpa delle notifiche diventai uno spione.
Ma prego continuate ancora un po' a disquisire. C'è chi si diverte qui...
:-D
Appena visto,veramente un buon film con immagini che appagano gli occhi per la sua realta' ben descritta e per il paeseaggio ,poi si potra' discutere la scelta della protagonista di condurre una vita vissuta in questo modo,piu' di una volta ha avuto lungo il percorso le persone che la invitavano a fermarsi invece che vagabondare con il van (e tutti i rischi annessi) ma lei ha sempre rifiutato,percio' scelte personali (magari opinabili).
Comunque un plauso alla Zhao per aver diretto il film.....ma non capiro' mai come si fa subito dopo a dirigere un'opera come ETERNALS distante anni luce da questa.....purtroppo cara Chloe ci vedremo ai tuoi prossimi lavori ,spero di qualita' come NOMADLAND......grazie laulilla della tua rece ....che ho riletto con piacere.
Grazie! Non ho visto ETERNALS, quindi non sono in grado di esprimermi. So che la regista ama molto sperimentare e mettersi alla prova nei più diversi generi. Se i risultati sono deludenti, però, c'è poco da fare....
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