Regia di Chloé Zhao vedi scheda film
Leone d'oro alla mostra di Venezia e probabile vincitore degli Oscar più importanti per il 2020, "Nomadland" è un film per molti versi singolare, una pellicola indipendente che racconta una storia di sopravvivenza in un'America desolata e priva di qualsiasi glamour, ispirato ad un libro nonfiction scritto da Jessica Bruder. La storia di Fern, una sessantenne che dopo aver perso il marito ed il lavoro nella città di Empire nel Nevada nel 2011 a causa della Grande recessione, decide di vivere in un camper e di svolgere lavori occasionali nell'ambito di una vita da nomade, incontrando a un certo punto anche l'occasione per un nuovo amore. Il film è diretto con uno stile minimalista, con tempi sapientemente dilatati e una struttura episodica che a lungo andare frammenta un po' troppo il potenziale emotivo della storia (anche se non mancano significative eccezioni, come l'incontro con un giovanissimo nomade a cui Fern recita il Sonetto 18 di Shakespeare "Shall I compare thee to a summer day", che viene accompagnato da un suggestivo montaggio di immagini e produce per l'appunto una forte emozione). La regista Chloe Zhao riesce a non scadere nella demagogia e nel facile miserabilismo di tanta produzione hollywoodiana che si è occupata di questi temi, portando uno sguardo nuovo sul paesaggio e sul genere sfruttatissimo del road-movie; pur essendo solo al terzo lungometraggio dimostra una già matura consapevolezza figurativa, tanto da rendere pleonastico il commento di Mereghetti che ha scritto che la Zhao "non sa se inquadrare un'alba oppure un tramonto". Fondamentale il contributo di una straordinaria Mc Dormand, la cui maschera facciale prosciugata risulta potentemente espressiva, mentre risultano generalmente efficaci le altre figure che le stanno affianco, con una mia preferenza personale per l'episodio di Charlene Swankie, il cui ricordo di nidi di rondini osservati dal Kayak viene visualizzato in maniera toccante nel pre-finale. A tratti si sente il desiderio di sapere qualcosa in più sui personaggi secondari, anche su Dave interpretato da Strathairn, unico altro attore professionista del film, ma la scelta della Zhao non è comunque "furbetta" o "paracula" come vorrebbe la parte più prevenuta della critica italiana. Un bel film, lucido e sincero, che stimola lo spettatore alla riflessione su uno dei fenomeni sociali più rilevanti della nostra epoca, e lo fa senza ricatti emotivi e con la giusta consapevolezza. Se vincerà, non saranno Oscar rubati.
Voto 8/10
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta