Regia di Chloé Zhao vedi scheda film
Ricordo l’impatto che Nomadland ha avuto su di me, come potrei dimenticarlo? Il merito è tutto da associare alla straordinaria protagonista Frances McDormand, che grazie all’interpretazione di Fern è riuscita a portarsi a casa l’agognato Oscar, anche perché poi del resto, possiamo bocciare anche tutto … o quasi.
Indubbiamente quando mi sedetti in sala credevo che, rialzandomi, sarei stata capace di annoverare il film di Chloé Zhao tra la breve e intensa lista di film che preferisco e invece il turbamento che ne ha accompagnato la visione ahimè non era di natura positiva o quantomeno non entusiasmante come le mie aspettative immaginavano.
Il film della Zhao ha dalla sua, tra i lati positivi, senza dubbio un’ambientazione molto suggestiva, caratterizzata da panorami mozzafiato che Fern ci mostra nel suo giro attraverso gli Stati Uniti occidentali, esaltati dalla bellissima fotografia di Joshua James Richards, una scarna colonna sonora che non si rende memorabile e, come sopra dicevamo, una McDormand all’apice della forma (e quando non lo è stata? Direte voi. E come darvi torto? Dico io) ma possiede anche la peggiore caratteristica da associare ad un film: una sceneggiatura con pochi dialoghi e troppi silenzi che, seppur intervallati dalle magiche sequenze di affascinanti terre sconfinate, non funziona, almeno non fino alla fine.
Dopo aver imbastito la storia di Fern e strutturato la narrazione sulla quale si muoverà la protagonista, il lavoro di sceneggiatura, curato dalla stessa regista, sembra essere finito lì. Da un certo momento in poi infatti la pellicola, per quasi tutta la sua durata, si concentra sul viaggio della protagonista, ma la poca dimestichezza con il mondo raccontato e la misera descrizione iniziale, partoriscono un racconto interiore che diventa troppo ermetico per lo spettatore, la cui noi è ben presto manifestata.
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