Regia di François Truffaut vedi scheda film
Quest’opera, conclusiva e retrospettiva per la vicenda di Antoine Doinel, più che raccontare una storia, sembra voler presentare un sistema di circostanze vissute che, attraverso la memoria e l’immaginazione, si rincorrono e riflettono su se stesse; la deduzione finale è che il tutto, per quanto paradossale e frammentario, può dare vita a un senso, anche se non definitivo. Il puzzle potrà ricomporsi, domani, in un modo diverso: una foto strappata con rabbiosa violenza sarà ricostruita da qualcun altro con paziente cura, perché i frammenti del nostro esistere si dividono, si rimescolano e si rimettono insieme esattamente come le persone. Si scambiano i ruoli e si modificano le interpretazioni dei fatti, nel faticoso gioco della vita, che è una continua ricerca di nuove combinazioni. In questo film, i numerosi flashback sui precedenti episodi non servono a rievocare o confrontare, ma a rispiegare, attribuendo alle situazioni nuovi significati che prima ignoravamo. Riuscire a compiere quest’operazione equivale ad aver superato la fase delle certezze assolute e dei traguardi univoci: l’esperienza della disillusione ci dimostra che anche l’evidenza può essere smentita, e che le nostre convinzioni sono sempre passibili di revisione. Le stesse passioni non amano la stabilità, perché vogliono essere inseguite, per renderci desiderosi, insicuri ed esausti, e poterci quindi più facilmente conquistare. L’amore fugge sempre, nel mondo esterno e dentro il nostro cuore, perché non si lascia catturare come una preda, né ingabbiare nelle nostre categorie mentali. Per questo non è mai lui a venirci incontro; tutt’al più può inviarci un timido cenno da lontano, invitandoci a metterci sulle sue tracce, senza però mai prometterci che si lascerà veramente prendere. François Truffaut ama i finali sottotono, in cui l’apparenza del vissero felici e contenti è offuscata da una tiepida aura di provvisorietà: i suoi protagonisti arrivano al traguardo sempre stanchi, e mai illusi di poter davvero pronunciare l’ultima parola. La vita, per certi versi, si ripete, però in effetti non rimane mai uguale: così non riusciamo mai a impararla, ed immutate restano, per noi, le probabilità di capire male e di sbagliare.
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