Regia di François Truffaut vedi scheda film
Se è vero che il percorso esistenziale di ognuno è determinato, a priori, dalla predestinazione, allora la propria strada può anche essere quella che prevede di sbagliare continuamente direzione e di ritentare ogni volta nuove vie, per poi andare incontro ad un ulteriore fallimento. Tale è il curriculum lavorativo del giovane Antoine Doinel, una sorta di factotum al contrario, talmente privo di talenti e vocazioni da potersi adattare a qualunque mestiere: la nullità, in fondo, si presta ad essere spesa indifferentemente in qualunque campo. Poco male se il risultato è, in ogni caso, un disastro veloce e garantito; la sua vicenda insegna che ogni esperienza è solo una porzione del grande cammino, ed il traguardo finale che ci è assegnato si può raggiungere anche zigzagando tra gli errori. In fondo la vita è messa in moto dagli incontri casuali, che di solito sono, allo stesso tempo, deprecabili imprevisti e stuzzicanti occasioni. Nella filosofia autobiografica di François Truffaut, l’essenza della storia personale di ciascuno non va ricercata nei soliti momenti di bilancio, in cui riteniamo di dover appuntare, sulla mappa, le bandierine colorate delle vittorie e delle sconfitte; il significato del nostro stare al mondo si manifesta, invece, nei segmenti intermedi, in cui l’intreccio delle nostre emozioni e delle circostanze esterne definisce il ruolo, i gesti e le espressioni del personaggio che dobbiamo interpretare. La sceneggiatura più difficile ed interessante è quella del divenire convulso, del dramma confuso, dello sviluppo incoerente, del turbine che solleva e sparge i germi del futuro latenti nel presente. Inutili sono quindi il controllo e la programmazione, poiché non sappiamo che cosa, agitando le mani, spargiamo intorno a noi nel vento; ed inutile è, in fondo, anche la nostalgia, perché ciò che viviamo oggi è il frutto di ciò che è avvenuto ieri. La risposta alla domanda Que reste-t-il è, dunque, tutto e niente: l’infanzia dei 400 colpi non c’è più, perché il bambino è diventato un uomo; un giorno l’amore che fugge non ci sarà più, perché un’ingenua illusione di felicità si sarà evoluta in una matura consapevolezza dei propri limiti. Niente può tornare, perché tutto deve andare avanti; niente è definitivo, perché tutto ciò che vive si trasforma. Guardare contemporaneamente al passato e all’avvenire non è un folle esercizio che dà il capogiro, bensì la saggia pratica di chi esamina lo stesso oggetto da diverse prospettive. Pazzo è davvero solo chi rimane con gli occhi fissi sull’hic et nunc, credendo di potervi restare eternamente fermo.
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