Regia di John Swab vedi scheda film
il problema principale sta in una sceneggiatura arruffata e confusa, con personaggi che si suppongono fondamentali che appaiono per poi sparire o finire dimenticati e con eventi che mancano di una spiegazione logica o per lo meno chiara, in una progressione che vorrebbe essere drammatica ma si impantana in un meccanicismo sfuggente.
Charles Bukowski può star tranquillo ed evitare di rivoltarsi nella tomba: il Run With the Hunted di John Swab non ha nulla a che fare con il suo - titolo a parte, anzi è tutta farina del sacco del regista, che è anche autore della sceneggiatura. Tuttavia, l'impressione che si ha all'uscita dal film è proprio quella di aver assistito alla trasposizione cinematografica frettolosa e malriuscita di un libro zeppo di eventi: invece, probabilmente, zeppo di spunti era il taccuino cui il regista ha attinto in fase di scrittura, peccato non sia stato in grado di condensarli in un film di 90 minuti che avesse almeno la parvenza di un minimo di coerenza.
Quella raccontata cronologicamente (a parte una breve ellissi nell'incipit) in Run With the Hunted è la storia di Oscar, ragazzino che a tredici anni, dopo aver ucciso il padre della sua migliore amica Loux perché violento, scappa e si fa una vita altrove, finendo in men che non si dica cooptato da una gang di giovani criminali; a metà esatta del film, dopo aver concentrato l'attenzione sul training del ragazzino e sui suoi rapporti con la coetanea Peaches (più spiantata di lui) e con i due boss Sway e Bird (quest'ultimo interpretato da Ron Perlman, anche produttore esecutivo), l'azione si sposta avanti di quindici anni, con Oscar che ormai se la comanda, insegna a sua volta l'arte della rapina a nuovi giovani disperati e ha sviluppato un rapporto morboso con Peaches, e con Loux che di colpo arriva in città e si mette sulle sue tracce non prima di aver trovato lavoro come assistente di un investigatore privato.
Il primo difetto di Run With the Hunted salta agli occhi ed è oggettivo: Mitchell Paulsen e Michael Pitt - ovvero Oscar ragazzino e Oscar adulto - non si somigliano per nulla, e l'effetto del passaggio dagli occhi marroni del primo ai fari verdi del secondo è a dir poco straniante, e questo particolare (che non è un 'particolare') non aiuta a fugare l'impressione che con il salto in avanti di quindici anni si sia passati a guardare un film totalmente diverso, rinforzata dal fatto che anche le movenze dei due attori siano diametralmente diverse (con Pitt fastidiosamente sopra le righe a fronte dei modi morbidi di Poulsen).
Aggiunto ciò come semplice ideale parentesi, il problema principale sta in una sceneggiatura arruffata e confusa, con personaggi che si suppongono fondamentali che appaiono per poi sparire o finire dimenticati e con eventi che mancano di una spiegazione logica o per lo meno chiara, in una progressione che vorrebbe essere drammatica ma si impantana in un meccanicismo sfuggente fatto di piccole scene madri senza capo né coda per poi sprofondare, inesorabilmente, in un finale ridicolo.
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