Regia di François Truffaut vedi scheda film
Truffaut raccoglie il testimone di Jean Vigo nel ’59, Antoine Doinel è il fratello minore di quei quattro bricconcelli di Zéro de conduite
Il 25 settembre 2014, a trent'anni dalla morte di François Truffaut, è uscita nelle sale di poche città italiane la versione restaurata da Mk2 e distribuita dalla Cineteca di Bologna, in collaborazione con BIM, di Les 400 coups .
Mai svanito dalla nostra memoria, resta comunque un’esperienza unica vedere questo capolavoro su grande schermo.
Ricordiamo le parole di Truffaut:
“ Ho avuto la fortuna di scoprire tutti i film di Jean Vigo in un’unica volta, un sabato pomeriggio del 1946, al Sèvres-Pathé grazie al cine-club La chambre noir animato da André Bazin e altri collaboratori di “La Revue du Cinéma”.
Entrando in sala ignoravo persino il nome di Jean Vigo, ma fui preso immediatamente da un’ammirazione sterminata per quest’opera che tutta insieme non raggiunge nemmeno i duecento minuti di proiezione. In principio ho avuto più simpatia per lquei ragazzi, probabilmente per identificazione, avendo solo tre o quattro anni più dei collegiali di Vigo […] Niente di ciò che si è mostrato sullo schermo nei successivi trent’anni ha eguagliato in questo campo l’immagine della mano grassa del professore sulla piccola mano bianca del ragazzo in Zéro de conduite” (da F. Truffaut I film della mia vita , Marsilio, 1978, passim)
La mano grassa del professore…
Ci sono minuscole particelle che si staccano da un corpo e s’innestano in un altro, fotogrammi in volo libero, frammenti aguzzi che s’impiantano nella carne viva a generare altra vita. Zéro de conduite sta a Les 400 coups come il polline sta allo stigma, impossibile immaginare Antoine Doinel senza Caussat, Colin, Briel e Tabart, i quattro enfants terribles che rivoluzionarono a colpi di cuscino e guerra dei fagioli il severo collegio del Signor Censore.
La loro scalata al cielo avvenne 27 anni prima della corsa verso il mare di Doinel, il tetto del collegio fu il trampolino del loro volo verso la libertà. Da lì, chissà, forse si vedeva anche il mare, di lassù sfumavano le ombre minacciose delle camerate grigie e la vita ritrovò il suo ritmo.
“Elogio dell’indisciplina e danno al prestigio del corpo insegnante”. Così, con questo marchio, il governo impedì al film di uscire fino al ’45, ma Vigo ebbe poco tempo per indignarsi, e certo nulla gli importava di tali amenità mentre, febbrile, girava sequenze: “…Si sa che era già malato mentre girava i suoi due film e anche che ha girato certe sequenze di Zéro de conduite steso su un letto da campo.” (F. Truffaut, cit.) . Truffaut ne raccoglie il testimone nel ’59, Antoine Doinel è il fratello minore di quei quattro bricconcelli e Miguel Almereyda, l’anarchico padre di Jean, morto in carcere, potrebbe essere il nonno dell’intera compagnia. Ma Doinel è solo, Caussat, Colin, Briel e Tabart no. La differenza è profonda.
Se è vero come è vero che il cinema è specchio dei tempi e ne fissa lo spirito per immagini, dobbiamo anche registrare, al di là del magistero stilistico, lo iato forte che separa Truffaut, figlio del dopoguerra, da Vigo, capostipite, con un certo Ozu degli anni venti e trenta, di un cinema che guarda il mondo dei giovanissimi “ad altezza di tatami” (per Ozu ricordiamo Ho studiato ma…, C’era un padre, Il coro di Tokyo, Storia di erbe fluttuanti, Una locanda di Tokyo, Il figlio unico, quadri di padri e figli in un Giappone pre-bellico che si apprestava a perdere tutte le sue certezze, ma, per il momento, ancora ne aveva).
Farne di cotte e di crude, fare il diavolo a quattro, ogni Paese ha il suo pittoresco repertorio idiomatico e dunque così tradurremo quei quatre cents coups. Per come andavano le cose più di mezzo secolo fa, le birichinate di questi ragazzi sono, sì, di cotte e di crude, ma oggi fanno sorridere con amarezza, vorremmo che ne facessero ancora così... (ma questa è un’altra storia).
Eppure la crudeltà del mondo adulto è la stessa, stesse chiusure e uguali miserie, storia di eterni ritorni, dai voli giù dalla rupe Tarpea in avanti. E il cinema sa come raccontarle, da Est a Ovest. Da Vigo a Truffaut, da De Seta a Cantet, De Sica e Wajda, e ancora Kore-eda e Ozu, tutti hanno messo in scena percorsi di formazione che spiegano come l’infanzia e la famiglia non siano quelle di cui tenta di convincerci Il Mulino Bianco.
Antoine ha la stoffa del ribelle? Forse, l’ambiguità regna sovrana nel mondo nuovo del cinema post-bellico, nessun ritratto a tutto tondo che ci convinca che il mondo è bianco o nero.
Come non ribellarsi se i genitori non lo capiscono e lo trascurano, se dal suo microcosmo alienato il passaggio sarà verso il microcosmo concentrazionario del carcere prima e del riformatorio poi?
Se ruba una macchina da scrivere lo fa per denaro? O per scrivere le sue memorie?
Né l’uno né l’altro, non sa che farsene e la riconsegna.
Naturalmente lo arrestano, strani i rapporti di causa/effetto che il codice tesse infaticabile per la sicurezza della società civile.
Di Antoine allora è meglio guardare gli occhi dietro quella finestrella, o la figurina in controluce, stilizzata come una scultura di Giacometti, che corre sulla spiaggia verso una meta, il mare, che poi lo fermerà, segnerà per lui un altro confine.
Ma ora è il tempo della libertà, poco importa se affidata ad una scena breve, finale, non serve parlare per ore se ne è rimasta intatta la memoria, come dell’altra, quella sul tetto.
Una corsa su una spiaggia vuota verso il mare che lampeggia giù in fondo, una marcia in controluce sul tetto della scuola verso un cielo di biancore accecante.
E un grande cinema per raccontarcelo, come diceva Godard:
“Con I 400 colpi François Truffaut entra nel cinema francese moderno come nel collegio della nostra infanzia Ragazzi umiliati di Bernanos, Ragazzi al potere di Vitrac, Ragazzi terribili di Melville-Cocteau. E ragazzi di Vigo, ragazzi di Rossellini, insomma ragazzi di Truffaut, espressione che passerà dopo l'uscita del film nel linguaggio comune. Si dirà presto i ragazzi di Truffaut come si dice i lancieri del Bengala, i guastafeste, i re della mafia, gli assi del volante, o anche, per dirla in due parole, i drogati del cinema".
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