Regia di Xavier Dolan vedi scheda film
Dopo il massacro critico e il pesante fiasco di "La mia vita con John F Donovan", questo "Matthias e Maxime" avrebbe dovuto essere il film della rinascita artistica di Xavier Dolan, forse lo é, ma in ogni caso le recensioni da Cannes sono state piuttosto tiepide, con la stampa americana che in particolare sembra ormai essersi messa contro il giovane enfant prodige canadese. Allora proviamo a sgomberare il campo da discorsi dietrologici, e a valutare il film per quello che è. Dolan è qui alla sua ottava regia, ed è a tutti gli effetti un autore, provvisto di una sua poetica ben precisa a costo di essere ripetitiva, di una sua cifra stilistica personale, di una squadra di attori che spesso tornano nei suoi film. Qui realizza un film più o meno corale dove spicca tuttavia la vicenda dei due protagonisti, amici da una vita ma con una passione sopita che aspetta di venire a galla e che spaventa soprattutto Matthias, fidanzato con una ragazza inconsapevole della vera natura del suo desiderio. Per me che ho visto finora solo tre lungometraggi dell'autore, non saprei dire quanto questo film possa risultare ripetitivo o meno nella tematica, ma al di là di qualche vezzo gratuito nelle tecniche di ripresa e qualche scena di festa tirata un po' troppo per le lunghe, lo spessore di diversi momenti rimane all'attivo, soprattutto una breve scena d'amore fra i due nel pre-finale che rimane fra le più intense, pudiche e significative degli ultimi anni, al di là dell'orientamento sessuale dei protagonisti. Dolan é un sostenitore della teoria che privilegia "la follia delle passioni alla saggezza dell'indifferenza" e questo a tratti lo tradisce, ad esempio nella scena in cui Maxime telefona per sapere l'esito della sua richiesta di raccomandazioni al padre di Matthias, dilatata eccessivamente anche nei primi piani su se stesso, ma in generale resta un regista che sa il fatto suo, dirige con scioltezza gli attori fra cui spicca la sua musa Anne Dorval, si avvale di musiche trascinanti, costruisce un racconto di formazione che ha degli agganci non risaputi con la società contemporanea. Come attore batte ai punti il co-protagonista Gabriel Almeida Freitas, volenteroso ma ancora un po' acerbo. Il finale, da non rivelare, in questo caso non risulta troppo prevedibile. Insomma un risultato apprezzabile, certo migliore dell'enfatico "É solo la fine del mondo", che risulta probabilmente opera di transizione verso un possibile rinnovamento tematico o formale del suo cinema.
Voto 7/10
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