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Per tutto il tempo che ci resta

Regia di Vincenzo Terracciano vedi scheda film

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Questo testo contiene anticipazioni sulla trama.

La recensione su Per tutto il tempo che ci resta

di hallorann
6 stelle

Una delle tante belle interpretazioni di Ennio Fantastichini (1955-2018)

Gli esordi di Ennio Fantastichini, classe ’55 sono stati teatrali. Dal teatro militante di Dario Fo a quello sperimentale di Mario Martone. Al cinema ha esordito nel misconosciuto FUORI DAL GIORNO del ’82, riccioluto e con quel piglio deciso che lo contraddistinguerà. Le presenze importanti con il suo volto inconfondibile cominciano a lasciare il segno in due film di Gianni Amelio, I RAGAZZI DI VIA PANISPERNA e PORTE APERTE. Nel primo impersona Enrico Fermi, nel secondo l’impiegato pluriomicida Tommaso Scalia. Un bellissimo ruolo in cui recita al fianco del grande Gianmaria Volontè nei panni del giudice idealista che non lo condanna a morte. I due si ritrovano in un altro film tratto da Leonardo Sciascia, UNA STORIA SEMPLICE diretto da Emidio Greco, in cui l’attore viterbese interpreta un commissario ambiguo e presuntuoso. Come consuetudine italiana grazie a questo ruolo inanella una serie di cattivi o come diceva lui stesso in un'intervista: “Personaggi disturbati con psicopatologia in atto”. Il marito violento e squilibrato de LA STAZIONE di Rubini ne è la summa, poi tanti altri intervallati dal capo partigiano costretto a tornare in azione di GANGSTERS, il bottegaio di destra di FERIE D’AGOSTO (bella prova brillante), il rifugiato politico di VITE IN SOSPESO, fino all’infermiere alcolista dal cuore tenero di CONTROVENTO. Di recente lo si è ammirato nei panni de direttore del carcere ne LA STOFFA DEI SOGNI di Cabiddu. Attore di razza Fantastichini, capace di attraversare integro gli sceneggiati di trent’anni fa e le attuali fiction per tornare al cinema nei ruoli più disparati, sempre eccellente e carismatico. Esattamente vent'anni fa, nel 1998, l’esordiente Vincenzo Terracciano gli affida la parte del protagonista in PER TUTTO IL TEMPO CHE CI RESTA.

 

 

 

Giorgio Nappi è un P.M. che al termine di un processo di mafia sembra deciso a lasciare la toga dopo venticinque anni di onorato servizio. In alternativa lo attende un incarico a Torre Annunziata, la sua terra. Un collega li comunica che proprio da lì è arrivata notizia di un reato “violenza carnale su una bambina di dodici anni, pare che sia stato quel prete anticamorra…quello che conosci anche tu Francesco Grimaldi”. Un amico d’infanzia che riaccende vecchi ricordi in Giorgio. Rientrato a casa nel napoletano prende in carico le indagini in vista del processo all’amico prete con l’intento di aiutarlo. Il boss Michele Galvano è indiziato come mandante della pesante accusa, infatti don Francesco non esitava a scagliarsi contro il clan malavitoso. In particolare durante un’omelia accusa esplicitamente Galvano di aver ucciso un bambino di otto anni. In sua difesa ci sono il vice parroco, i ragazzi dell’associazione creata da lui e numerosi fedeli, i quali addebitano l’accusa a una vendetta del boss locale. Le accuse però sono precise: un medico che curò le ferite della bambina e ne constatò la violenza subita da poche ore, una poliziotta che raccolse la denuncia della madre e fotografò le ferite e le percosse. Inoltre l’investigatore assistente di Nappi lo intima a diffidare delle voci innocenti (“Galvano uccide, non compra testimoni”). L’approvazione del nuovo piano regolatore del paese di Piano (nome di fantasia) favorirebbe gli interessi del boss e padre Francesco è in prima linea per opporsi e sensibilizzare la comunità. Giorgio prosegue le indagini interrogando vari personaggi tra cui Galvano che affronta tenacemente: “Padre Francesco è innocente, lei ha comprato vittima e testimoni e io non starò al suo gioco…se dovrò andare in tribunale per farlo condannare io non ci andrò…lei non farà mai di me o della giustizia un suo strumento”. E Galvano: “ Vi piacerebbe colpirmi e salvare il vostro amico ma secondo la vostra legge non potrete mai”. Comincia il processo e il P.M. smonta testimoni e accuse mandando assolto Grimaldi. “Di dubitare non si finisce mai nel mio mestiere” disse una volta il magistrato, il quale coerente e ostinato scava nel passato dell’amico sacerdote…

 

 

 

Dramma intimista, film di denuncia, giallo giudiziario e psicologico. PER TUTTO IL TEMPO CHE CI RESTA mischia vari registri e si presta a diverse considerazioni. Terracciano con alcune carenze di stile e qualche forzatura sviluppa un bel soggetto di Laura Sabatino, premiato dalla Presidenza del Consiglio 1994 (probabilmente l’unica cosa buona fatta da quel governo), coprodotto da Mediaset e dalla (ex) moglie del finiano Bocchino, Gabriella Buontempo. Ennio Fantastichini offre un’interpretazione partecipe  e sofferta, con la sua presenza forte e mai ingombrante compensa imperfezioni e cadute di ritmo. Bello il confronto finale con Padre Francesco (un bravo Emilio Bonucci) ma già in precedenza i due protagonisti cardine avevano dato spazio a momenti di riflessione e intensità. La camorra e i suoi ricatti è la sottotrama, mentre il tema portante è la pedofilia nella Chiesa. Argomento tuttora scottante e spinoso che qui viene affrontato di petto e con discrezione allo stesso tempo. A tratti in modo brutale, “…non dire niente a nessuno altrimenti Dio ti punisce…l’hai fatto con le parole dolci e il catechismo in mano…”. Fede e ragione si contrappongono diverse volte, tra Giorgio e Francesco spogliati dei loro ruoli (“quante volte hai invocato il tuo Dio per coprire le tue malefatte”), tra il magistrato ateo e il religioso e camorrista Galvano (interpretato da un asciutto Mariano Rigillo). Pellicola una tantum del cinema italiano e per Terracciano che nelle opere successive si è dato alla commedia senza ottenere grandi risultati. Belle musiche (già sentite) di Nicola Piovani.

 

 

 

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