Regia di Elia Kazan vedi scheda film
Elia Kazan sarà stato umanamente una merda e per questo se la vedrà con la sua coscienza, ma era un ottimo regista nel saper ritrarre le tensioni emotive celate dietro un certa patina di conformismo borghese. Con Un Tram che si chiama desiderio (1951), il regista confeziona una delle migliori trasposizioni cinematografiche di un testo teatrale, nonchè il miglior adattamento filmico di un'opera di Tennesse Williams. Kazan aveva già curato la regia teatrale dell'opera nel 1947, e richiamò tutto il cast dello spettacolo, tranne Jessica Tandy poichè non era un volto troppo noto presso il grande pubblico, che venne sostituita da Vivien Leigh, la quale però non farà pesare l'assenza della sua collega; anzi, Kazan sfrutta il fatto che Leigh fosse un corpo estraneo rispetto a tutto i lresto del cast, per accenturne il senso di solitudine ed incomprensione, che è alla base del personaggio di Blanche DuBois; una donna schiava dell'alcool, umorale e con un passato molto ambiguo e misterioso.
Rispetto alla trasposizione teatrale (e al testo che ho letto, visto che per ragione anagrafiche e linguistiche non ho potuto assistere all'opera originale sul palcoscenico), saggiamente il regista non resta confinato al solo appartamento, ma ogni tanto vediamo anche luoghi come il bowiling, il locale di danza e la fabbrica, i quali nel testo teatrale erano solo citati dai personaggi.
Il film a quanto ho letto da qualche critico è stato accusato di essere teatro filmato, accusa che sento di repingere fermamente. Kazan non ha la maestria tecnica di un Wyler nell'uso della profondità di campo (non ama i longtake Wyleriani), ma sa come adoperare la macchina da presa per destreggiarsi nello spazio scenico delle quattro mura della casa. Il regista sapeva evidentemente che con una macchina da presa fissa, unita ad uno sfondo fuori fuoco, avrebbe finito con l'ottenere del teatro filmato che non era di certo bello a vedersi, così tramite movimenti di macchina e carrellate in avanti sui volti dei personaggi, spezza la limitazione derivata dalla location della casa, per dare più respiro al film, con il risultato di ribaltare la claustrofobia per dare invece una sensazione di ampiezza alla messa in scena.
Deciso ai fini della riuscita del film, è anche l'uso del sonoro, che viene utilizzato in modo estensivo per accentuare la sensazione di malessere psichico che attanaglia Blanche; le voci dei personaggi rimbombano nella sua testa sino a rimbalzare sulle pareti di casa e fare così da eco, così che la scenografia della casa divenga a tutti gli effetti parte integrante della narrazione.
Rispetto all'opera teatrale, fortunatamente il film è meno Blanche-centrico, riuscendo a scavare maggiormente nella psicologia di tutti gli altri protagonisti, anche se di secondaria importanza come la sorella di Blanche, Stella (Kim Hunter), una donna totalmente asservita e soggiogata dal marito Kowalski (Marlon Brando), mentre l'altro risulta essere il personaggio di Mitchell, un uomo sulla trentina che sinceramente innamorato di Blanche, decide di volerla sposare in modo da accontentare anche sua madre morente che vorrebbe vederlo finalmente sistemato.
Il personaggio di sicuro più interessante del testo teatrale e anche del film risulta essere Kowalski; interpretato da uno stupefacente Marlon Brando alla sua seconda interpretazione sullo schermo; l'uomo è una forza della natura in tutti i sensi, dietro i suoi muscoli e l'aspetto attraente, si cela un essere rozzo e brutale; in effetto sembra discendere direttamente dall'uomo delle caverne nella scala evolutiva secondo il parere di Blanche. Già dalle prime battute Marlon Brando ci fà subito capire come il suo personaggio più che all'umanità, appartenga il regno animale, riuscendo con la sua straordinaria abilità recitativa a plasmare una figura che compie azioni e gesti solo in virtù del proprio istinto primordiale e non secondo la ragione; proprio come gli animali. L'attore passa con totale disinvoltura da fasi di stasi dove la sua indole è tenuta a freno molto a fatica, a momenti di ira violenta dove spacca tutto ciò che gli capita a tiro senza mai andare fuori le righe (sembra una sorta di elettrocardiogramma la sua recitazione, quando raggiunge il picco massimo, riesce subito a fermarsi senza andare sopra le righe e al contempo non perdere neanche un briciolo di rabbia) e attimi in cui quando Stella decide di andare sopra ad Eunice a seguito degli schiaffi subiti dal marito, l'uomo si rabbonisce e con fare paingente chiede alla moglie di ritornare da lui, proprio come se fosse un cucciolo smarrito. Il doppiaggio italiano in effetti tende a civilizzare troppo la recitazione animalesca di Marlon Brando, che in originale è molto più sensuale, tagliente e selvaggia nell'intonazione delle battute.
Ad accentuare il lato animalesco dell'uomo, è la canotta costantemente impregnata di sudore, la barba lievemente incolta e i suoi capelli arruffati, tutte caratteristiche che ne sottolineano il lato primordiale-istintuale. Kazan insieme all'attore, confeziona un personaggio perfettamente naturale nel modo sia di esprimersi che di porsi nel compiere anche i gesti più semplici e ordinari (vedere come beve la birra tenendo la bottiglia per il collo; cosa molto più naturale rispetto ad un Bogart che quell'anno vinse l'oscar ed invece la teneva per la parte inferiore... ovviamente con questa osservazione non voglio in alcun modo sminuire il mito di Casablanca e vi avverto che se qualcuno di voi pensa di farlo, lo distruggo all'istante).
Con un attore protagonista di tale spessore recitativo e dotato di una presenza scenica magnetica, Vivien Leigh fà i salti mortali per stargli al passo, tanto che il ruolo di Blanche è la sua miglior perfomance recitativa di tutta la carriera.
La recitazione dell'attrice rende al meglio un personaggio dalla scrittura molto stilizzata, che vive di sbalzi d'umore, passando dall'analizzare impietosamente la realtà delle cose (e per questo Kowalski la odia, poichè, la donna fà capire alla sorella come stanno le cose ed il marito teme di perderne il controllo), a momenti di profonda depressione, sino ad attimi di felicità idilliaca dove crea una vera e propria finzione tramite le sue bugie per sfuggire ad un passato triste, torbido ed a-morale.
Dal passaggio teatro - cinema, vengono lasciati per strada alcune cose come l'evidente riferimento all'omosessualità del marito defunto di Blanche (che il codice Hayes proibiva), un rapporto più "romantico" tra le due sorelle (nel testo teatrale Stella m'era sembrata più fredda verso Blanche ad un certo punto), un'invettiva al maschilismo molto più accentuata (mentre nell'opera teatrale erano sia i personaggi femminili che maschili ad essere delle merde in egual modo) e un finale che è sin troppo buonista ed Hollywoodiano per un dramma che sul palcoscenico aveva una conclusione da status quo che rendeva perfettamente la mentalità americana del fatto che l'elemento distruttivo della routine, deve essere eliminato perchè tutto possa ritonare allo status quo come prima.
Il film è comunque un capolavoro (ma non assoluto come avrei sperato sino ad un certo punto prima degli ultimi secondi finali), da vedere e rivedere perchè rappresenta una pietra miliare nella storia della recitazione in primis e poi anche per la sua indubbie qualità di gestione dello spazio scenico. Ottimo successo di pubblico e critica all'epoca, con tanto di premio della giuria a Venezia per Kazan e Coppa Volpi per Vivien Leigh, replicati con ben 4 oscar, con premi per tutti gli attori tranne per Marlon Brando che era sicuramente il migliore del cast (avrà modo di rifarsi), mentre purtroppo perse il premio di miglior film a favore di Un Americano a Parigi (1951), che oggi risulta molto più invecchiato del capolavoro di Elia Kazan.
Film aggiunto alla playlist dei capolavori : //www.filmtv.it/playlist/703149/capolavori-di-una-vita-al-cinema-tracce-per-una-cineteca-for/#rfr:user-96297
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