Regia di Kelly Copper, Pavol Liska vedi scheda film
TFF 37 - AFTER HOURS
Si può concepire un film muto in 16 mm che parla di zombie ebrei in Tirolo tra deliri nazisti, trasponendolo da un romanzo fiume del premio Nobel per la letteratura 2004 Elfriede Jelinek, risalente al 1995 e che conta - non certo a caso- 666 pagine di lunghezza e dichiaratamente mai letto completamente dai due folli autori del bizzarro progetto?
A quanto pare si può, soprattutto se si è folli come il duo rappresentato dai cineasti Kelly Copper e Pavol Liska, che adattano sulla scorta di quanto gli viene raccontato da chi il romanzo lo ha letto; ancor più realistico pensare che abbia trovato concretezza, se dietro la macchina produttiva dell'azzardato progetto si scopre trovarsi il regista austriaco Ulrich Seidl, una certezza quanto a stramberie e piccole grandi genialate.
In una Stiria non proprio idilliaca un pullman di turisti piuttosto "fai da te", dopo una sosta a base di birra, crauti e salsicce presso la modesta pensione Alpenrose, viene aggredita da un'orda di zombi dopo essere incappata in una serie di grotteschi contrattempi.
Ma prima di tutto ciò si sviluppano dissidi familiari tra una madre dura ed ostinata ed una figlia pingue e protesa al vittimismo, presto vittima di un incidente che la vedrà risvegliarsi dopo morta, vittima pure lei del contagio che rianima i morti.
Situazioni tra il grottesco e il satirico utili a dare una visione dirompente di un cinismo e di una crudeltà che pare radicata presso i cardini di una società che, volente o nolente, viene comunque accomunata al triste ricordo del tremendo personaggio a cui essa ebbe la sciagura di dare i natali.
Ne scaturisce un delirio cinefilo spesso divertente, ove i due registi, deliberatamente approssimativi nei confronti del romanzo d'origine della celebre autrice austriaca, dimostrano comunque di aver saputo cogliere da ciò che hanno in qualche modo appreso di esso (per come ce la raccontano e preso atto che non facciamo altro che prendere parte al loro stravagante gioco), buona parte del senso dell'opera letteraria originaria, a quanto pare forte e dal potente afflato critico nei confronti di un paese come l'Austria. E di una comunità umana (si fa per dire...) in cui traspare ancora viva ed intatta quella crudeltà e quel cinismo spietati, trattenuti a stento dai gesti e dalle azioni quotidiane che muovono ancora oggi, a detta dell'autrice e dei suoi folli traspositori cinefili, i singoli componenti di una società definita "sterile, arcaica, popolata di morte e di fantasmi".
Un popolo la cui macchiettistica rappresentazione viene qui concentrata e resa esemplare e significativa grazie alle gesta appannaggio di un piccolo numero di individui bizzarri, sgradevoli non solo fisicamente, sopra le righe, fuori del comune senso di una normalità a cui si riesca ancora a far riferimento. Una accozzaglia variopinta ma comunque cupa che trova nella naturalezza fisiognomica dei non-attori coinvolti, o al contrario la loro inadeguatezza espressiva latente, la migliore soluzione per risultare, nel contesto del piccolo film, come il più azzeccato dei punti cardine del folle progetto.
Probabilmente sin troppo fine a se stesso, Die Kinder der toten (I bambini dei morti) è un progetto destinato a creare entusiasmi o rifiuti totali, senza mezze misure, al pari di tutta la cinematografia che vede coinvolto, anche solo di striscio, il terribile genio di Seidl, personaggio ostico, disturbante, ma dirompente nella scelta di cosa raccontare e come organizzare il percorso narrativo, mai realmente lineare ma quasi sempre rasente la genialità.
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