Regia di André Øvredal vedi scheda film
Festa del Cinema di Roma 2019 – Selezione ufficiale.
Quando uno scrittore/narratore è particolarmente abile nell’uso dell’arte oratoria e convincente nell’incedere, il lettore di turno può sentirsi completamente catturato dalla pagina scritta, finendo catapultato in uno scenario formulato dalla propria fantasia, un luogo mentale che si erige parola dopo parola.
Da questa affascinante leva, nasce Scary stories to tell in the dark che, in fondo (nemmeno troppo), scandaglia il repertorio dell’horror e il catino della recente ondata fantasy senza addentrarsi in nulla tale da (per)turbare la linearità dell’esecuzione.
Stati Uniti, 1968. Nella cittadina di Mill Valley, è tempo di Halloween e il gruppetto di amici per la pelle costituito da Stella (Zoe Margaret Colletti), Chuck (Austin Zajur) e Auggie (Gabriel Rush) prende di mira Tommy (Austin Abrams), il bullo della zona, che, per tutta risposta, li costringe a fuggire.
Così, finiranno per conoscere Ramón (Michael Garza) e rifugiarsi in una tenuta abbandonata, un tempo appartenuta alla famiglia Bellows, dove entreranno in possesso di un libro maledetto.
Per salvarsi, dovranno scovare cosa si celi nel passato di questo oggetto, mentre nuovi racconti vanno scrivendosi come per magia sulle sue pagine, ognuno dei quali ha uno dei ragazzi come vittima designata.
Da un soggetto pensato tra gli altri anche da Guillermo Del Toro, il regista norvegese André Øvredal trae il minimo sindacabile, almeno in fatto di sostanza. Di fatto, non deve nemmeno stupire il notevole successo commerciale già conquistato nei territori dell’America del Nord, in quanto ogni disposizione sciorinata ha come scopo principale quello di regalare al pubblico generalista esattamente ciò che si aspetta, ovvero un derivato di massa dalle caratteristiche poliedriche.
Quindi, rieccoci catapultati nel passato, con in azione un gruppetto di amici costretti a fronteggiare un’avversità letale, compenetrando realtà e fantasia, grazie a una miniera di agganci, che cominciano da un battaglione di creature mostruose, contenute in un ventaglio che, tra le tante, arruola spaventapasseri inferociti e zombie implacabili.
In questi segmenti horror, sventagliati con una cadenza regolare, sono rintracciabili alcune incursioni ad effetto, per quanto i jumpscare rientrino nella gamma di servizio, tra raccapricci vari, presenze ubique e un pugno di trucchi del mestiere.
Per il resto, la griglia sintetizza e riporta suggestioni a tutto spiano, lavorando prevalentemente sul versante della quantità, avvalendosi di maestranze competenti per mascherare, e quindi contenere, i danni scaturiti da una pressoché totale mancanza di originalità.
Infine, per quanto non sia l’emblema del conforto (può sembrare il contrario, ma non è tutto e solo un gigantesco scherzo), il finale, dopo aver scatenato un discreto putiferio, tira i remi in barca. Un ultimo tassello fiacco e frettoloso, il canto del cigno di un film che punta sul fragore e sulla cornice (in primis produttiva), a discapito di quegli approfondimenti che gli avrebbero anche regalato la cosa più importante: un’anima.
Dilettevole.
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