I modi del racconto – nel film largamente autobiografico girato e sceneggiato nel 2019 dallo scrittore William Nicholson – sono evocativi e poetici e ripercorrono attraverso la voce rotta dal pianto di Jamie (Josh O’Connor), il figlio della coppia – la nascita di un grande amore e il suo progressivo inaridirsi dopo quasi 30 anni di matrimonio.
Quell’amore era sbocciato sul treno su cui viaggiava Edward (Bill Nighy), allora giovanotto, che voleva raggiungere Seaford, per rendere omaggio alla tomba del padre morto 4 mesi prima. Di quel papà, come lui schivo e riservato, a Edward era sempre mancato il gesto di tenerezza capace di stabilire confidenza e serenità: mai un abbraccio, mai una parola affettuosa.
Lacrime e singhiozzi lo scuotevano, quando l’abbraccio commosso di Grace (Annette Bening), lo aveva un po’ rincuorato: gli erano sembrati molto giusti anche i versi di Henry King – (1592 –1669) poeta inglese e vescovo cattolico di Chichester – che Grace, sensibile amante della poesia, gli aveva sussurrato. Per caso si erano incontrati; si erano subito innamorati e si erano sposati, col rito cattolico, qualche mese dopo. Jaime aveva completato la loro storia d’amore…
Per dedicarsi a lui, Grace aveva ridotto i suoi impegni di lavoro; per non far loro mancare nulla, Edward, affettuosamente detto Eddie, si era messo a insegnare con impegno, né Jaime avrebbe dimenticato le lunghe passeggiate durante il tempo libero, l’amore condiviso le sue manine saldamente accolte nelle grandi mani dei genitori che lo sollevavano…
Jaime, ora trentenne, non viveva più con loro e li vedeva poco, ma, quando Eddie lo aveva chiamato perché lo aiutasse a separarsi in modo indolore da Grace, era arrivato subito: si sarebbe fermato fino al mattino, il tempo necessario per comprendere che la situazione era irrimediabilmente compromessa.
Jaime aveva udito le interminabili e rabbiose recriminazioni di Grace, le silenziose e apparentemente miti reazioni di Eddie, il fragore dei piatti rotti e del bel tavolo rovesciato.
Aveva anche compreso che era vano cercare colpe, avendo – probabilmente insieme, madre e padre – ciascuno contribuito all’epilogo disgraziato di una storia che era stata bella nei lontani tempi della sua giovinezza.
Il padre se ne voleva andare: aveva incontrato Angela (Sally Rogers), donna incolore, separata dal marito e pronta ad accoglierlo nel suo cottage senza nulla chiedergli in cambio: non era un’intellettuale mancata e inacidita, né assurdamente possessiva come Grace, che – identificando l’amore con il possesso del partner - non aveva trovato di meglio che “battezzare” Eddie il suo cagnolino fedele…
La fine di quell'amore diventerà presto, anche per Jaime, un lutto da elaborare con fatica, un doloroso momento che mai avrebbe voluto attraversare: non riuscendo a mantenersi equidistante come vorrebbe dalla coppia dei genitori idealizzati preferisce rifugiarsi nella memoria di un passato improponibile, rimanendo prigioniero di un dolore senza fine, aperto a esiti imprevedibili, anche se è onnipresente - e ricco di significati simbolici - lo sfondo meraviglioso e severo delle bianche scogliere di Dover, dei suggestivi tramonti e anche se è insistente la presenza del mare che incessantemente copre e cancella, assorbendolo in sé, “Quel che resta (se resta)”, quando – per dirla con Montale – l’infanzia dell’incanto e l’età adulta nonché la terza età delle disillusioni si avvicinano pericolosamente.
Film non privo di difetti, ma affascinante. Ancor per poco visibile su RaiPlay
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