Regia di Richard LeMay vedi scheda film
Secondo horror scritto e diretto da un regista ben poco ispirato. Tra i primi del genere dell'anno nuovo, rilasciato a metà gennaio in USA, ma solo in streaming. E c'è un motivo.
Una famiglia molto influente economicamente, per mantenere lo status sociale predominante deve assolvere - nel rispetto di un patto satanico - a un sanguinario rituale. I membri si trasferiscono in un villaggio rurale, alla ricerca di vittime. Ogni venticinque anni, infatti, quattro vite umane devono essere sacrificate, tra queste anche quella di un familiare. Questa volta tocca a David (Ross Wellinger) completare il rito, sacrificando Kerry (Eden Brolin) e il pargolo che porta in grembo: peccato che il ragazzo sia follemente innamorato della vittima sacrificale.
Avevamo lasciato Richard LeMay al disastroso remake Dementia 13, decisamente perplessi per lo scarso risultato ottenuto, attribuendo in parte la causa all'improvviso cambio di registro intrapreso dal regista. Partito con drammi a sfondo gay, improvvisamente il cineasta affronta l'horror, mettendo mano al remake di un misconosciuto thriller diventato celebre perché rappresenta il vero esordio in regia di Coppola.
A distanza di un paio d'anni LeMay ci riprova, e realizza questa immensa boiata: cento minuti che, per riuscire a sopportarli interamente, occorre frazionare la visione in più tempi. Mai nella mia vita da cinefilo era successo di spezzettare la visione in questa maniera, sperando inutilmente che, ad ogni ripresa, qualcosa di interessante potesse accadere. Blood bound, che intendiamoci è ben fotografato e girato in maniera (anche troppo) pulita, rappresenta il nadir del genere: non incute paura, né interesse, tantomeno curiosità. Ogni emozione è pressoché azzerata. Sullo schermo si muovono bellocci (rimembranze evidenti del periodo "omo") senz'anima. Le motivazioni del nucleo maledetto sono ridicole e il tutto assume la scarsa definizione di un TV movie da prima serata, cioè a dire da pallino verde. Roba che un episodio del serial Streghe, al confronto, diventa un capolavoro del brivido. Dopo il brutto Dementia 13, Richard LeMay riesce a fare dunque ben di peggio. "Non c'è due senza tre", si suole dire, sperando -in questo caso- di essere smentiti!
Non ci sono commenti.
Ultimi commenti Segui questa conversazione
Commenta