Regia di Michael Anderson vedi scheda film
Dopo un contrastato processo che ha assolto il marito dall'accusa di furto e omicidio, una moglie inizia a sospettare della giustezza della sentenza, e sprofonda a poco a poco nell'angoscia.
Dopo un avvio un po' incerto – il regista non è a suo agio coi processi – il film prende quota, fino ad un finale che non delude affatto. Il modello Hitchcock è evidente, ma pure la pellicola non ne è una scopiazzatura.
Buona parte del merito va a quel grande attore che fu Gary Cooper, sull'interpretazione del quale si gioca il sapore e l'effetto del film. Cooper, infatti, riesce a dar corpo ad un personaggio ambiguo e indecifrabile, un po' come era stato Cary Grant ne “Il sospetto” del già citato maestro. Il resto lo fanno il regista e la sceneggiatura, che mostrano e non mostrano quanto opportuno.
Debora Kerr dà la solita interpretazione convincente, anche perché l'attrice era a suo agio con ruoli di donna tormentata, lacerata e sofferente.
Il regista, oltre che a dirigere gli attori, ci offre alcune interessanti soluzioni di regia, come certe inquadrature ben studiate: ad es. le riprese con la cinepresa immersa nella vasca da bagno e l'inquadratura di Deborah Kerr davanti allo specchio a tre ante.
Non sarà un film perfetto, ma è un giallo che non delude, costruito sugli eterni temi del dubbio, del sospetto, dell'innocenza e della colpevolezza.
Va anche detto che, sebbene sia inferiore a “Il sospetto” di Hitchcock, ha un finale plausibile che non stona. E ciò a differenza del modello, che soffre di un finale cucito sopra come una pezza scompagnata, che non ha mai cessato d'infastidirmi. Questo finale, invece, riesce ad apparire perfettamente credibile e coerente con il resto del film, il che non è poco.
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