Regia di Roman Polanski vedi scheda film
Tre personaggi, tre tipi diversi, tre caratteri lontani, tre rapporti tra loro diversificati e altalenanti, in un atmosfera che sin dall’incipit si presenta carica di tensione crescente che preannuncia forti emozioni. È lì che si rivela la formidabile predisposizione di Polanski a giocare con le persone e le loro tensioni interne ed esteriori.
Incredibile Polanski!
A soli 29 anni, dopo diversi corti, il suo esordio da regista di lungometraggi è un lampo nel panorama mondiale del cinema che conta. Sin da questo film mostra il “suo” cinema, la sua passione per racconti spiazzanti e imprevedibili, già allora con pochissimi personaggi racchiusi in piccoli spazi possibilmente chiusi, caratteristica che si ripeterà altre volte nella sua carriera come in Carnage e in Venere in pelliccia, Questo sorprendente film infatti vede solo tre protagonisti in una sorta di kammerspiel anomalo: prima in auto poi in una barca a vela e nessun altro personaggio, neanche inquadrato come comparsa. Al massimo possiamo considerare come coprotagonisti due elementi: l’acqua lacustre della Terra dei laghi della Masuria (regione della Polonia) e un coltello, in possesso del giovanotto ospite. Il coltello e l’acqua, appunto.
Solo tre personaggi e tutti ambigui, di cui difficilmente ci si potrebbe fidare. Andrea un giornalista sportivo, benestante e proprietario della barca, di carattere autoritario, cresciuto con disciplina militare nella scuola di vela; Cristina,sua moglie, occhialuta e solo apparentemente sottomessa alle angherie del marito, a primo sguardo bruttina ma che una volta in bikini rivela non solo un corpo attraente ma anche una bellezza nascosta, che non esita a prendersi delle silenziose rivincite sul marito; un ragazzo sconosciuto che sale a bordo prima della macchina e poi della barca a vela, di cui poco si sa e meno se ne saprà alla fine.
Tre tipi diversi, tre caratteri lontani, tre rapporti tra loro diversificati e altalenanti, in un atmosfera che sin dall’incipit si presenta carica di tensione crescente che preannuncia forti emozioni. È lì che si rivela la formidabile predisposizione di Polanski a giocare con le persone e le loro tensioni interne ed esteriori: ogni discorso tra i tre si complica ogni volta e si trasforma in discussione se non addirittura in litigio, per poi inaspettatamente placarsi con gesti amichevoli e affettuosi. L’aria è sempre e costantemente elettrica e si avverte continuamente che qualcosa accadrà, che prima o poi la situazione precipiterà in gesti e reazioni pericolose, per l’uno o per l’altra. Il regista polacco li conduce nel vortice di diverse situazioni, tutte predisposte per accrescere la tensione: l’uso di quel maledetto coltello a scatto, la secca in cui si impantana la barca, i perentori e insopportabili ordini che impartisce il giornalista per governare l’imbarcazione, la moglie che si spoglia per asciugarsi (in ben due scene la donna mostra quasi integralmente i seni, cosa fece scalpore in quei tempi così conservatori e bacchettoni della Polonia cattolica, ma figuriamoci se Polanski si fosse mai preoccupato e attivato per un taglio). Fino ad arrivare al culmine della trama, allorché il giovane scompare nelle acque del lago affogando.
Oppure no? Ma siamo sicuri? Incredibile Polanski! Ci spiazza già a quella età! E continuerà a farlo per tutta la vita!
Il rientro alla normalità alla fine del film ci lascia interdetti e impietriti, ma proprio perché alla normalità ci riconduce la storia, quando meno te lo aspetti, dopo aver trepidato per un thriller tutto basato sulla psicologia. Quella dei tre personaggi e quella dello spettatore, perché Roman Polanski fonda quasi tutto il suo cinema sul thriller psicologico: di morti se ne vedono pochissimi nel suo cinema e a volte si sono perfino rialzati da terra.
Un consiglio? Recuperatelo.
Voto alto per questo piccolo capolavoro di un giovane regista che al debutto riuscì a vincere a Venezia23 il Premio FIPRESCI e a raggiungere addirittura un traguardo storico: fu il primo film polacco ad ottenere una candidatura all'Oscar come miglior film straniero, perdendo perché sulla sua strada c’era l’imbattibile 8½ felliniano.
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