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1997: Fuga da New York

Regia di John Carpenter vedi scheda film

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La recensione su 1997: Fuga da New York

di rickdeckard
9 stelle

Nella sua rappresentazione profondamente anti-americana della città simbolo della civiltà occidentale, il film si configura come una durissima e ammirevole critica sociale al sistema americano dell'era Reagan, più disumano e criminale dei criminali stessi. Ancora oggi, un'opera straordinaria e di bruciante attualità. Voto 9

Ideato poco dopo lo scoppio dello scandalo Watergate e uscito nel periodo di punta del conservatorismo reaganiano, 1997: fuga da New York è una perfetta miscela di generi, in cui Carpenter mette in scena, in maniera totalmente rivoluzionaria e anticonvenzionale, la sua visione della città che era (ed è ancora) il simbolo del progresso, della civiltà occidentale consumista e capitalista ma, soprattutto, dell’edonismo imperante che contraddistingueva la politica di Ronald Reagan. Spaziando dalla fantascienza distopica al western urbano, con accenni di cinema d’azione muscolare tipico degli anni ‘80, il regista newyorkese ribalta la prospettiva della rappresentazione falsa, plastificata e propagandistica dell’America del tempo, raffigurando una Manhattan divenuta un carcere di massima sicurezza blindato e sorvegliato dall’esterno, dove all’interno “non vi sono guardie, solo prigionieri e i mondi che si sono creati”, come dice la voce fuori campo all’inizio del film. Nell'estremizzazione della realtà attuale inscenata da Carpenter (bisogna infatti sottolineare che l'ambientazione in realtà non è un futuro distopico), l'isola più lussuosa del mondo si è trasformata in un luogo fuori dal tempo e dallo spazio, decadente e abbandonato a sé stesso, in cui a farla da padrone sono il caos e le costanti lotte tra bande di criminali tanto feroci quanto disperati. In un inferno come questo, socialmente e politicamente alla deriva, dovrà barcamenarsi l’iconico personaggio Jena Plissken (Snake in versione originale), interpretato da un altrettanto iconico Kurt Russell, antieroe sbandato e nichilista, emarginato e alienato da una società in cui non crede più e verso cui nutre un profondo senso di sfiducia. Pur non essendo in cerca di redenzione, Plissken tenta una sorta di impresa folle per ottenere la libertà accettando la missione di salvare il presidente degli Stati Uniti, uomo pavido, viscido e vigliacco, perfetta personificazione dell’impotenza delle istituzioni di fronte a una tale condizione di degrado. Grazie anche a una messa in scena rigorosissima, a una fotografia estremamente suggestiva e a un impianto scenografico a dir poco strabiliante, Carpenter realizza un film straordinario, valorizzato da un ottimo montaggio e da uno spessore contenutistico molto più significativo di quanto potrebbe sembrare. Unica pecca, la debole colonna sonora, firmata dal regista stesso. Curiosamente, è uno suoi dei pochissimi lavori ad aver riscosso un buon successo di pubblico e critica sin dalla sua uscita nelle sale, senza aver subito quindi un lungo processo di rivalutazione nel corso degli anni. Voto 9

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