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David Crosby: Remember My Name

Regia di A.J. Eaton vedi scheda film

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La recensione su David Crosby: Remember My Name

di barabbovich
7 stelle

Leggendo alcune delle tante recensioni su questo intenso documentario dedicato al rocker David Crosby, c'è un aggettivo che ritorna con insistenza: sincero. Penso che, invece, sia proprio questo l'aspetto che più manca: non al film, ma al suo protagonista. Un gigante come musicista, un nano come uomo, preoccupato, per l'ora e mezza di documentario, di riabilitare la sua immagine soprattutto agli occhi di chi lo ha disconosciuto, a partire dai suoi compagni di viaggio più noti: Stills, Nash & Young. Non una parola sull'uso spregiudicato delle armi, sugli insulti gratuiti all'ultima moglie di Neil Young, Daryl Hannah,  o sul traffico di stupefacenti che gli costò nove mesi di galera, da cui uscì irriconoscibile, senza baffi né capelli lunghi, ingrassatissimo.
Con suo piglio malmostoso, Crosby vuole suscitare la pena dello spettatore ed è difficile guardare il film senza farsi condizionare dal suo personaggio centrale: diabetico da una trentina d'anni, 8 stent a garantire il funzionamento dell'apparato circolatorio, una vita da sopravvissuto a ogni eccesso ("Why me?", domanda, riferendosi al fatto di non essere morto, mentre tanti altri nella sua condizione hanno tirato le cuoia assai prima). Poi la rinascita a 72 anni, con una serie di dischi celebrati dalla critica (tutti mediocri, a mio giudizio), ma sideralmente lontani dall'esordio solista, nel cui titolo (If I Could Only Remember My Name) era già contenuto il vizio dello sballo. Al di là del piagnucolarsi addosso di Crosby, il documentario è anche altro: racconta - per esempio - l'amore per Cass Elliot e Joni Mitchell, quello per la giovanissima Christine Hinton, morta a 21 in un incidente stradale (altro velo pietoso sulla biografia di Crosby) e per la sua attuale moglie. E poi la passione per il mare, le folle oceaniche ai concerti, gli occhi allucinati dalla droga durante i concerti degli anni Novanta, la mesta chiusura in trio con Stills e Nash, cantando una penosa versione di Silent Night che non rende minimamente giustizia alle celeberrime armonie vocali del trio.
Prodotto dal regista ed ex giornalista di Rolling Stone Cameron Crowe, il documentario è soprattutto un bel tuffo in una stagione irripetibile della musica rock, di un'epoca in cui le canzoni si coniugavano con l'impegno civile, di una creatività vulcanica restituita dal magnifico collage di canzoni e impreziosita da un prezioso found footage con molti materiali inediti.

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