Regia di Tony Richardson vedi scheda film
"Look back in anger" fu il testo teatrale che impose Osborne all'attenzione mondiale. La sua riduzione in immagini cinematografiche ad opera di Tony Richardson, che ne aveva curato la messa in scena anche sul palcoscenico, fu pure per il regista la prova che lo portò alla ribalta e alla notorietà, rivelandone le capacità indubbie. Da noi il film uscì quasi in sordina relegato nella morta stagione estiva: il tema era troppo ostico per poter immaginare un successo di cassetta; l'impianto troppo teatrale per "suscitare" attenzione. E francamente nemmeno la traduziine del titolo aiutava gran che a richiamare folle plaudenti... così nonostante le buone critiche che lo accolsero, passò quasi del tutto inosservato, si può dire nella totale indifferenza generale.. Eppure è stato (e rimane) uno dei titoli più significativi e importanti del Free Cinema (e quello che sancisce ufficialmente la nascita di quella corrente). Il tema stesso e la sua modalità di rappresentazione (il realismo crudo quasi spoglio delle imamgini e delle parole) sono caratteristiche peculiari che distanziano notevolmente la pellicola da tutto ciò che il cinema britannico aveva prodotto in precedenza (e influenzerà tantissimo quello che verrà innediatamente dopo), proprio in virtù delle sue importanti innovazioni (linguistica e di contenuto) in virtù delle quali riesce ad esplicizzare con assoluta efficacia e senza troppe edulcorazioni mediate, il disfacimento non solo morale della società borghese ormai decotta. Rispetto al testo teatrale, la sceneggiatura di Nigel Kneal, pur pregevole, finisce comunque per disperdere qualcosa della cupa, suggestiva stringatezza di Osborne, riduce un poco persino la tensione claustrofobica quasi insopportabile dei rapporti. che sulla scena avevano forse dinamiche più travolgenti. Si stemperano per questo in parte le capacità dirompenti dell'impatto sul pubblico che erano state così esplosive sulle assi del palcoscenico (le insoddisfazioni che venivano evidenziate erano perfettamente avvertite, si poteva dire che si era messo il "dito nella piaga" ma si riteneva più decente tacerne, ignorarle, e proprio la non "ammissione" di una evidenza, fu probabilmente la molla che fece montare le polemiche che divamparono furibonde e non accennarono a smorzarsi per molto tempo). Le doti istrioniche dell'interprete principale (un Richard Burton in gran spolvero) restituiscono però pienamente il clima e le situazioni frustranti della condizione, quel senso di rabbia impotente e di vuoto insomma che serpeggia immutato ancor oggi, sia pure con meno vigore (il passare degli anni qui si avverte forse più che altrove), L'impianto rimane teatrale nonostante che Richardson amplifichi un poco la visione non più staticamente racchiusa fra le quattro pareti di una stanza, e la integri con indubbia efficacia con immagini prese dall'esterno. Il regista è dunque bravissimo ad apprfondire proprio sul piano delle immagini, quell'analisi spietata - più che suggerita, "urlata" da Osborne - di una società che sta crollando , o forse è già corllata, ma che pretende di "resistere" in piedi cpme se niente stesse accadendo (la middle class appunto, come già accennato) ,squallidamnete decrepita e incartapecorita nel suo pressappochismo ideologico. E in questo contesto, finiscono per acquisire e assumere un risalto molto più preponderante proprio i personaggi fenmminili, che la generazione degli "angry men" propone quasi come vittime di una situazione che non presenta alcuna via d'uscita. Il protagonista del dramma è Jimmy Potter insoddisfatto e rabbioso, che si considera un perseguitato dalla vita. Lo squallore della casa in cui abita non lo soddisfa nè appaga i suoi bisogni. Avrebbe voglia di cambiare, ma poi all'atto pratico non trova valide ragioni e adeguate spinte per modificare davvero il suo status. Finisce allora per sfogare le sue frustrazioni sulla moglie incinta. Le liti si amplificano sempre più, diventano insostenibili finchè la donna non decide di abbandonare la casa per portare a termine la gravidanza lontano da quell'uomo che ormai sembra incapace di esprimere sentimenti. Ma anche Jimmy avrebbe invece bisogno di calore, solo che non è in grado di darne, nè tanto meno è capace di riceverne. E proprio per questo anche la storia che intreccia con la migliore amica della moglie (perchè lui e incapace di stare da solo) si sfalda ben presto. Ma quando apprenderà che il bambino è nato morto, finirà inevitabilmente per ritornare sui suoi passi e ricongiungersi così con la famiglia, anche se non completamente riapppacificato con se stesso e con il mondo. Ottimamente contrastata e suggestiva la fotografia di Oswald e ben articolato il disegno della regia ,soprattutto nella definizione dei "caratteri". Di Richard Burton ho già detto. Lo affiancano Mary Ure (che se non erro in quegli anni nelal vita realeera la moglie proprio del drammaturgo), Claire Bloom, Edith Evans, Gary Raymond e Donald Pleasance,. Un cast cioè di tutto rispetto e perfettamente all'altezza del compito ( e non è certamente questo un elemento secondario per la riuscita dell'impresa, proprio per la passione e il trasporto che si percepisce dal modo con cui vengono approcciate e definite le figure e i personaggi loro affidati.
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