Regia di Claude Chabrol, Jean Douchet, Jean-Luc Godard, Jean-Daniel Pollet, Éric Rohmer, Jean Rouch vedi scheda film
Sei episodi ambientati in sei zone di Parigi. Una delusione amorosa per una studentessa americana; una moglie in crisi incontra un uomo poco raccomandabile; la serata 'romantica' di un lavapiatti e una prostituta; un uomo uccide accidentalmente un passante in Place de l'Etoile e scappa; una ragazza imbuca allo stesso tempo una lettera d'amore per un fidanzato e una d'addio per l'altro, ma un attimo dopo comincia a essere tormentata dai dubbi: e se avesse confuso le due buste?; stanco dei continui litigi fra i genitori, un ragazzino si mette dei tappi nelle orecchie, ignaro del fatto che una tragedia incombe.
Paris vu par..., approssimativamente tradotto in italiano come Parigi di notte, è una sorta di manifesto della Nouvelle vague. Che si tratti di un manifesto piuttosto mediocre lo dimostrano già i nomi dei registi, tre dei quali non passeranno effettivamente alla storia del cinema francese (Jean Douchet, Jean-Daniel Pollet e Jean Rouch); ma anche il fatto che la pellicola sia stata frettolosamente dimenticata è assolutamente comprensibile, alla luce dei sei modestissimi episodi che la compongono. Non ci sono colpi di genio o trame particolarmente intriganti in questo lungometraggio composto da sei cortometraggi; l'unica storia che un minimo può colpire lo spettatore è quella di Godard (e ti pareva...), che mette in scena il dilemma di una ragazza canadese che ha due fidanzati a Parigi e si lacera nel dramma di aver invertito le buste spedite ai due ragazzi, destinando la lettera d'amore a quello ripudiato e, viceversa, la lettera d'addio all'amato. Carina quantomeno l'idea-filo rosso di ambientare in sei diverse zone della Capitale i sei segmenti, intitolandoli di conseguenza; già meno riuscita la scaletta degli episodi, che vede il film cominciare con i due più noiosi (rispettivamente quelli di Pollet e Rouch). Nel complesso del cast non compaiono nomi degni di nota, se si eccettua la comparsata riservata da Chabrol, nel suo episodio, a sé stesso e alla sua compagna Stephane Audran. Per Rohmer uno sterile esercizio di stile, Douchet mette in scena l'unico segmento dotato di evidente ironia. Poco più di un'ora e mezza di durata. 5/10.
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