Regia di Jacky Goldberg vedi scheda film
Fotografia a colori tenui di una donna che si dà, per amore, in tutti i sensi.
Riempire lo schermo. Finley lo fa per vivere. Trasmette di sé un’immagine docile, obbediente, disponibile come può esserlo solo una bambola. Si spoglia a comando, si mette in posa, usa il suo corpo per il divertimento altrui. E nei suoi gesti, benché preordinati, benché a pagamento, si coglie l’infinita grazia delle anime semplici. Non c’è morbosità, dove tutto è limpido come l’acqua. Dove l’atto di mostrare tutto di sé non è motivo di vergogna. Quella carne ha una storia da raccontare, fatta di un amore finito, di un figlio conteso, di una gravidanza sofferta, della paura di morire, della voglia di essere bella, nonostante la malattia. Si può dirlo a parole, o anche solo con il coraggio di offrirsi per soldi ad uno sconosciuto, senza perdere la propria dignità. Chi è passato attraverso il buio del dolore sa distinguere le cose serie e importanti da quelle che si esauriscono in un gioco, insulso e innocuo, che dura poco, giusto il tempo di regalare un illusorio attimo di gioia. La frivolezza è levità. Ha l’eterea leggerezza di una farfalla. Quella ragazza, dalla pelle candida e trasparente come la carta velina, finemente arabescata di tatuaggi, appare sul display come un’ala variopinta, provvisoriamente adagiata sul letto, in attesa di spiccare il volo. Fa finta di farsi catturare, ma poi scompare, dopo un breve, scanzonato volteggio. Questa giovane donna esiste davvero, e fa davvero quello strano mestiere, antico e tecnologico, automatico e ripetitivo, ma in fondo mai banale, perché ogni volta la fantasia deve intervenire, per scacciare la noia ed accendere i sensi. In scena, Finley deve portare con sé tutte le sue emozioni, farle vibrare insieme ai fremiti digitalizzati del sesso online, affinché il suo personaggio sembri un essere umano, e non un disegno animato, un’icona programmata da una macchina. La sua memoria non è un insieme di byte. Non si lascia cancellare e sovrascrivere a piacimento. È un mondo di ricordi a colori che continua a pulsare, nelle vecchie foto di una festa, nelle illustrazioni senza tempo di un libro di favole. La volgarità, con i suoi contorni ruvidi e taglienti, resta fuori da quell’universo di forme morbide e arrotondate, di tinte pastello, di tessuti vaporosi, di pensieri vaghi che assomigliano a nuvole. La poesia, invisibile, è sospesa, lassù, da qualche parte. Si libra al di sopra di quella recita a soggetto che, ad ogni chiamata, replica il suo struggente addio all’innocenza. E, subito dopo, l’eroina del dramma si ricompone, come una bambina sognante. La fanciulla ritorna alle sue ordinarie faccende di principessa delle fiabe: la rivediamo diligentemente indaffarata, intenta alle industriose visioni della sua casa magica. Un luogo incantato in cui, come dalla polvere di un fiore si può estrarre un profumo, una voce fuori campo può creare, dal nulla, una notte d’amore.
Flesh Memory (2018): Finley Blake
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