Regia di Hans Stjernswärd vedi scheda film
L’horror rurale americano, specchio deforme del ventre molle del paese, è da sempre stato il filone cinematografico orrorifico più adatto a raccontare l’America e i suoi orrori, le sue inquietanti contraddizioni, le sue indicibili perversioni, le sue celebri disfunzioni sociali, famigliari, culturali e la sua villica ignoranza WASP di base disvalorica che non solo crea mostri, ma li manda pure a governare.
Hans Stjernswärd, al suo primi lungometraggio, lascia un segno indelebile nel filone in questione individuando i meccanismi del genere e ribaltandoli, anche proprio da un punto di vista iconografico e visuale. Quasi didascalico, se vogliamo, nel trattare l’horror rurale che da The Texas Chain Saw Massacre (Tobe Hooper, 1974) ha regolarmente trattato il culto della carne, retaggio della “nascita di una Nazione” con le sue mandrie, i suoi pascoli, la sua industria e tutti i morti che ne hanno accompagnato l’epopea, come simbolo di una riflessione simbolica e allo stesso tempo carnasciale del corpo americano. L’America come corpo. L’America come industria, patria del capitalismo. L’America e gli americani come soffici hamburger di cui andare fieri e ghiotti.
Stjernswärd fa di più. Muove un passo in avanti nel genere e ne teorizza una nuova chiave di lettura. Difatti, i malcapitati sono presi e tenuti in gabbia come animali. Le donne vengono munte come vacche e ingravidate senza consenso, mentre gli uomini vengono nutriti e poi macellati. La carne finisce su banchetti di nozze, celebrazioni o altro. Inquietante nuova forma di economia agricola che rappresenta l’orrore attraverso la simbologia degli aguzzini macellai: uomini e donne mascherati da capretto, pecora, maiale, cane, mucca, cavallo, gatto, etc., e silenziosi come statue di sale che compiono il loro duro lavoro senza perdere tempo. Se vincesse l’immagine del principio del contrappasso diremmo che gli animali, da secoli utilizzati dagli uomini per ottenere cibo, ora sono loro ad aver preso il coltello dalla parte del manico. Denuncia animalista spiccia? Può essere. Ciò che resta è un film molto buono, tra direzione e messa in scena, che manca di eccessi visivi e di atmosfera, ma che comunque non delude nel puro intrattenimento. Tobe Hooper resta comunque e per sempre irraggiungibile.
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