Regia di Adele Tulli vedi scheda film
Ciò che conta è il peso specifico di ogni inquadratura. È qualcosa data spesso per scontata, al Cinema: quanto peso ha lo sguardo del regista su ciò che osserva. Il peso stesso, poi, può avere duplice valenza, perché può essere un peso etico o un peso estetico. È etico laddove si intraveda un giudizio – che può essere dato anche da una semplice angolazione/posizione della cinepresa; è estetico quando invece l’effetto della scena è gratuito, e vive soprattutto nell’esperienza dello spettatore, piuttosto che nella presa di consapevolezza di qualcosa che si vuole dire. Ecco qui dunque Normal di Adele Tulli: un botta e risposta di peso etico e di peso estetico, di spari sulla croce rossa come anche di momenti di sincera ambiguità vissuti nella sana incapacità di saper dare una risposta, o spesso anche di inquadrare – eticamente ma anche esteticamente – ciò che sta avvenendo. Infatti Normal convince di più quando i rituali quotidiani del popolo italiano, distribuiti con saggio equilibrio in un montaggio mosaicale, non sono apertamente ridicoli e assurdi – la coppia di neo-sposi che si fa fotografare in pose artificiose sulla spiaggia; le avvertenze fatte a delle giovani donne incinte sul fatto che dopo il parto bisogna ricordarsi di non trascurare il marito a favore del figlio appena nato – ma sono inseriti in una vena malinconica e quasi commossa – le fan del giovanissimo youtuber Antony di Francesco alla libreria Mondadori – oppure addirittura allucinata e caleidoscopica – il curioso montaggio alternato fra il ballo di due donne trasgressive e le immagini di alcuni uomini che prendono a martellate un auto. L’effetto, alla fine di una cavalcata di 70 minuti, è coraggiosamente straniante, infreddolito dal rischio di opera a tesi ma rischiarato dalla coscienza di Adele Tulli per ciò che importa al Cinema: il peso, il tempo, il ritmo, il taglio, la successione. Forse sì, c’è troppo dell’altro in Normal, c’è sempre qualcosa che sembra venir urlato sulle immagini; ma le immagini ci sono, e non è poco neanche per un’opera a tesi.
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