Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Scorsese abbandona i gangster e i sensi di colpa "cristiani" trascinandoci agli antipodi della sua formazione culturale, realizzando un film dal forte impatto spirituale e da un imponente senso estetico.
"I miei nemici diverranno nulla, i miei amici diverranno nulla, anch'io diverrò nulla, similmente tutto diverrà nulla"
Anno 1937, da qualche parte nel Tibet, tra sogno realtà e leggenda tre monaci partono verso la casa di un bambino di due anni, "Lhamo" (colui che protegge) è il suo nome,poi trascritto in Tenzin Gyatso , futuro quattordicesimo Dalai Lama e capo spirituale del buddismo tibetano. I tre monaci attraverso una visione e un arcaico rito,( nel quale il bambino sceglie tre oggetti appartenuti al defunto Dalai Lama) venerano il bambino ,portandolo con loro nel monastero di Potala....
Questa è la storia dell'attuale Dalai Lama Tenzin Gyatso, premio Nobel per la pace nel 1989 ed attualmente in esilio a Dharamsala, capo spirituale del buddismo tibetano e figura iconica del XX secolo.
"KUNDUN" letteralmente "Oceano di saggezza" è una parola dal significato ancestrale, che in questo solenne film assume sembianze e connotati di una scelta "profetica".La storia del Buddista più celebre al mondo è qui raccontata da Martin Scorsese,che abbandonati gangster e cultura cristiana nella quale si è formato, ci porta nella cultura millenaristica dell'Oriente.
Dopo "L' ultima tentazione di Cristo" (1988)
Il regista newyorkese dialoga con noi spettatori sulla spiritualità e la sofferenza dell'essere umano.
La prima parte del film dilata i tempi, riprese e campi lunghi allargano spazio e visione, concentrandosi sulla figura del "mandala" che i monaci compongono pazientemente per poi distruggere.
Lo spazio immenso del Tibet ci viene offerto come un territorio sacro e appartenente all' anima, anche se l'umanità è sempre presente nei giochi di un piccolo bambino, sulle cui piccole spalle si sorregge un antica dottrina.
Come il Cristo/Dafoe anche il piccolo Tenzin/Lhamo (interpretato da uno stesso nipote del Dalai Lama) mantiene un tratto umano, giocando nei palazzoni tutti oro e arazzi come farebbe un qualunque fanciullo.Scorsese almeno nella prima parte , pur mantenendo un quadro di epicità e mistero, si avvicina al fanciullo Tenzin empatizzando con la sua figura rendendocela così più famigliare.
La seconda parte cambia in parte registro, con la crescita del bambino, che da fanciullo scopre il mondo attraverso vecchi giornali, maturando nei precetti chiave del buddismo e secondo l'educazione datogli dai suoi precettori.La regia di Scorsese assume il piglio amaro e sofferto di una maturazione che farà i conti con gli orrori della natura umana.
La Cina socialista di Mao Tse-Tung rivendica difatti l'annessione dello stato Tibetano, attraverso uno spargimento di sangue dei monaci, brutalizzando la cultura millenaria del buddismo.
Evocative e di grande impatto le riprese che richiamano le violenze cinesi col Dalai Lama al centro di una carneficina di sangue e lacrime.
Scorsese disegna un bellissimo paralellismo in tal senso, con la cerimonia del "Funerale del cielo" dove gli avvoltoi che strappano le carni ai cadaveri, sono paragonati ai cinesi che depredano i monasteri di Lhasa.
Tenzin intanto è diventato uomo e saggio, immagine tratteggiata da Scorsese nell'incontro con le nazioni unite,la Gran Bretagna e gli Stati Uniti, ma sopratutto realizzando con dovizia di particolari lo storico incontro tra il Dalai Lama e Mao Tse-Tung.
La religione è un "oppio" che obnubila le coscienze rendendo ignoranti sembra pronunciare il dittatore al giovane Tenzin.
Tutto assume cosi' la connotazione di un film che abbraccia storia, religione ed epica prendendo le distanze dall'agiografia e mantenendo una visione globale dell'umano tormento vissuto dal giovane monaco.
L' andamento austero della pellicola ci riporta ad un andamento da "neorealismo" religioso rivisitato, dove
tutto lascia presagire una fuga con esilio "volontario" per sfuggire alle rappresaglie cinesi.In mezzo vi scorre un fiume di pensieri e filosofia, dall'andatura solenne e maestosa che fu già de "L' ultimo imperatore" di Bertolucci, mettendoci anche la rilevanza biografica del "Piccolo Buddha".
Scorsese ci racconta così la vita e il dolore di un icona dei nostri tempi, regalandoci un opera millimetrica, cesellata perfettamente negli ambienti e nelle scenografie.
Quello che rimane tra le macerie del buddismo tibetano che fu è una consapevolezza forte e chiara, riletta sul viso di un predestinato che nonostante tutto il male vissuto, sopravviverà come un messaggero della Pace.....
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