Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Nel 1937 il Tibet dei monaci buddisti riconosce in un bambino di 2 anni, il Kundun, la quattordicesima reincarnazione del Buddha. Cresciuto dagli anziani monaci del popolo tibetano, quel bambino diventò il Dalai Lama, la guida spirituale e politica di tutto il popolo tibetano. Il film di Scorsese si sofferma su alcuni episodi della sua vita - quelli dei 2, 5, 12 e 18 anni - ma ancor di più sui difficilissimi rapporti con la Cina di Mao Tze Tung, impermeabile alle richieste di indipendenza del Lama.
Scritto da una donna buddista (Melissa Mathison, moglie di Harrison Ford), diretto da un cristiano e girato in un paese musulmano (il Marocco), già dai credits i film denuncia i suoi limiti: un tentativo pasticciato di mettere insieme storia, politica, spiritualismo e nonviolenza. Certo, la mano del cineasta di primissimo livello si vede eccome, le musiche di Philip Glass sono quanto mai intonate e suggestive, alcune inquadrature sembrano splendidi quadri, ma il tutto lascia una sensazione di freddo manierismo e il tentativo di farci entrare nella imperscrutabile mentalità di un popolo che elegge a propria guida spirituale un bambino di due anni e che nelle cerimonie funebri dà in pasto agli avvoltoi le carni dilaniate dei suoi anziani non viene compiuto neppure.
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