Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Curiose dinamiche autoriali portano per contrappunto uno dei registi che hanno fatto scuola nel cinema spettacolarizzando la violenza a trattare la biografia (fino all'esilio) del simbolo vivente dell'esatto opposto: l'attuale Dalai Lama, assunto della non violenza nel mondo. Ne nasce un'opera quanto mai unica, del tutto differente persino dal Cristo Tentato di pochi anni più vecchio, imparentato al nostro per tema religioso. Una pellicola di immagini, che sì racconta, ma lo fa senza concedersi fino in fondo al gusto della narrazione, alla partecipazione sentita e volutamente condivisa con lo spettatore. Scorsese realizza piuttosto un film personale, una sorta di ricerca in biblioteca per una tesi di laurea del tutto avulsa dalla volontà di arrivare, coinvolgere, perchè no, incassare. L'atteggiamento estatico, quantomai rispettoso, forse persino timoroso, ammalia ma non scalda il cuore, nonostante le vicissitudini di Tenzin Gyatso. Solidarietà all'uomo e al suo popolo, perseguitati e oppressi dal materialismo maoista per cui la religione è più che oppio per i popoli: è veleno. Per la Cina comunista il Tibet è solo una regione, nulla più. L'esperienza e il solido mestiere del regista si vedono, denotano classe, ma hanno uno sguardo marcatamente occidentale.
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