Regia di Martin Scorsese vedi scheda film
Questa via di mezzo tra sontuosità e rarefazione produce un impasto insipido e privo di calore. La sceneggiatura è piatta, la regia è rigida, ed il risultato è un film piuttosto opaco. Una volta tanto la sobrietà non è un pregio, perché si ritrova incapsulata in una confezione stagna che le toglie ogni respiro. "Kundun" restituisce, della vita del Dalai Lama, soltanto un'impronta assai superficiale. Il tenore è quello di una cronaca indiretta, in cui manca il vissuto personale. Tutto è visto da lontano, in quel che sembra un collage per immagini del "sentito dire". La spiritualità è ridotta a un condensato di proclami, e lo stesso ritratto del protagonista ha l'inconsistente genericità di un contorno ricalcato a mano su un foglio di carta velina. Il film non ha dunque né l'accuratezza del documentario, né l'intensità del dramma, e si colloca cinematograficamente in quella "medietà" sospesa che, per accontentare tutti i gusti, distribuisce bocconi dal sapore vago.
L'approccio di Scorsese è quello di un turista americano in Tibet, che fotografa senza capire, e sovrappone mentalmente, alle suggestioni autentiche dei luoghi, le sue goffe didascalie alla occidentale.
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