Regia di Henri Verneuil vedi scheda film
Appena uscito dal carcere, lo stagionato Charles (Jean Gabin) non perde tempo e, procuratasi la mappa del casinò di Cannes, recluta il giovane e fascinoso Francis (Alain Delon), un suo ex compagno di cella, e il di lui cognato Louis (Maurice Biraud), un meccanico al di sopra di ogni sospetto, per realizzare un colpo miliardario: svaligiare la casa da gioco al termine della stagione estiva (quando la cassaforte è bella satolla). Questi i ruoli del team: Francis dovrà disporre di assoluta libertà di movimento nei camerini della sala per gli spettacoli del casinò "Palm Beach", Louis dovrà soltanto guidare la Rolls Royce di Charles e quest'ultimo orchestrerà tempi e movimenti entrando in azione esclusivamente per prelevare le borse piene di contanti dalla cella blindata della sala da gioco. Primo polar di grande successo del regista armeno naturalizzato francese Henri Verneuil (il secondo sarà "Il clan dei siciliani" del 1969), "Mélodie en sous-sol", titolo che significa "Melodia nel sottosuolo" inteso come sottobosco malavitoso, è un "caper movie" made in France modellato sull'esempio americano di "Colpo grosso" ("Ocean's Eleven", 1960) di Lewis Milestone. Il principio è lo stesso: cast prestigioso (Gabin e Delon per la prima volta insieme), ambientazione di lusso (là Las Vegas, qui la Costa Azzurra) e confezione stilosa (morbide panoramiche, carrellate felpate, tagli ricercati delle inquadrature, spruzzate di jazz come commento musicale). A insaporire il copione (si tratta dell'adattamento del romanzo "The Big Grab" di John Trinian messo a punto dallo scrittore "Série Noire" Albert Simonin) ci pensano i sapidi dialoghi di Michel Audiard (padre di Jacques, regista di "Regarde les hommes tomber" e "Sur mes lèvres"), dialoghista di punta del cinema francese di qualità. Ma a differenza del modello americano, il cui unico scopo era quello di sedurre lo spettatore con l'edonismo delle interpretazioni e con una messa in scena extra lusso, il film di Verneuil punta maggiormente sul cesello delle psicologie (Charles è uno scafato truand con ambizioni borghesi desideroso di trasferirsi in Australia insieme alla fedele mogliettina, Francis un ladruncolo tanto volgarotto e tentennante quanto sfrontato e intraprendente, mentre Louis un buon diavolo preda di scrupoli morali a scoppio ritardato) e sulla rappresentazione particolareggiata del colpo (gli ultimi quaranta minuti di film sono occupati dalla descrizione quasi fenomenologica della rapina, con un modus operandi non troppo dissimile da quello adottato nel 1955 da Jules Dassin in "Rififi"). Ovviamente spiccano, nella lunghissima sequenza dell'hold up, le doti atletiche di Delon, felino ed elegante al punto giusto. Corona il tutto un finale limpidamente hustoniano, in cui la vanità degli sforzi conferisce all'impresa una sua gratuita grandiosità: senza ombra di dubbio la sequenza più tesa e incalzante del film.
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