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Project Gutenberg

Regia di Felix Chong vedi scheda film

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La recensione su Project Gutenberg

di supadany
7 stelle

Far East Film Festival 21 – Udine.

Nella scacchiera della vita, ognuno di noi riveste un ruolo. C’è chi ricopre quello di guida e chi segue le indicazioni altrui, chi possiede un carisma affabulatore e chi ne è inesorabilmente attratto, come tale incapace di fare una cernita tra giusto e sbagliato.

Più in generale, a un singolo primo attore corrispondono centinaia di comparse, per eleggere un vincitore, la lista dei perdenti si gonfia all’inverosimile.   

Per compiere una mastodontica operazione di contraffazione, Painter (Chow Yun-fat), un’infallibile mente criminale, assolda Lee Man (Aaron Kwok), un’artista specializzato nella realizzazione di copie di dipinti celebri, un uomo schiacciato dall’improvvisa notorietà conseguita dalla sua compagna Yuen Man (Zhang Jingchu).

In breve, Lee Man sarà risucchiato in un piano più grande di lui, senza avere a portata di mano alcuna via di fuga, stritolato da una morsa che da un lato vede un boss spietato e dall’altro la polizia, che considera la banda come il pericolo numero uno, da scovare e annientare.

D’altro canto, non esistono vie semplici per fare un mucchio di soldi.

 

Yun-Fat Chow

Project Gutenberg (2018): Yun-Fat Chow

 

Già mattatore indiscusso agli Hong Kong Film Awards 2019, Project Gutenberg è il risultato di una produzione high value, che cavalca il modello del miglior cinema poliziesco d’azione made in Hong Kong degli anni ottanta e novanta.

Dunque, un’operazione che si guarda alle spalle celebrando il mito, rievocato prima di tutto con la pantagruelica performance di Chow Yun-fat, un richiamo irresistibile che spalanca una memoria cinefila da tempo sopita (vedi A better Tomorrow, The killer, Hard Boiled, City on fire e Full contact, giusto per citare alcuni dei titoli più rappresentativi tra i tanti interpretati dalla star nata sull’isola di Lamma).

Anche senza usufruire del richiamo storico, Project Gutenberg ha una sua precisa costituzione, con svariati motivi d’interesse e qualche nota stonata. È costruito in gran parte agendo per flashback e snocciola un ingranaggio reticolare, è certosino nell’intrecciare la trama e poi esplode con sequenze action da antologia.

Una di queste è il pezzo forte, realizzata dispiegando un’azione di stampo militare che riduce in poltiglia un villaggio di malavitosi, con un body count stellare e un Chow Yun-fat all’ennesima potenza, una porzione galvanizzante, che da sola varrebbe il prezzo il biglietto.

 

Yun-Fat Chow

Project Gutenberg (2018): Yun-Fat Chow

 

Detto questo, la regia di Felix Chong - ricordato principalmente per aver sceneggiato con Alan Mak la trilogia di Infernal affairs - è autoritaria, probabilmente fin troppo, poiché se lo sviluppo fermenta gradualmente e piazza numerosi diversivi, nemmeno si pone un limite e sul finale rovescia ogni assodata convinzione, finendo per strafare a suon di coup de théâtre.

Una presunzione di superiorità che macchia una pellicola per il resto esemplare, impreziosita da significati caratteristici della natura umana, come lo sono i rapporti di forza e le perdite dolorose, l’appartenenza a qualcuno (una relazione di coppia precaria) o a qualcosa (una banda criminale), un orologio svizzero che impazzisce quando bastava spingerla in porta.     

Virtuosistico e corposo, con vistosa sbrodolata finale.

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