Regia di Idrissa Ouedraogo vedi scheda film
Samba Traoré (Bakary Sangaré) vive e lavora da qualche anno nella capitale del Burkina Faso. Una notte fa una rapina in rimane ucciso il suo complice. Non gli resta quindi che tornare al suo villaggio natale, dove tutti lo conoscono come un uomo buono e lavoratore e nessuno sa niente da dove provengono i soldi cui può disporre. Samba Traoré vive con un profondo senso di colpa, ma cerca anche di ricostruirsi una vita tra l'affetto dei suoi cari. Conosce Saratou (Mariam Kaba), una vedova con un figlio che vive di espedienti vari. I due si innamorano e si sposano, ma quando la donna rimane incinta ed è costretta a dover andare nella capitale per poter partorire in sicurezza, Samba Traoré si rifiuta di accompagnarla. Ma nessuno può sapere i motivi di questa scelta così dolorosa.
“Samba Traoré" di Idrissa Ouédraogo è un film che si mostra capace di adottare gli stilemi del cinema d’arte europeo per declinarli all’utilizzo di un’analisi verosimile di un emblematico villaggio del Burkina Faso. Il film (premiato con l’Orso d’Argento a Berlino) inizia con una rapina finita con un morto, pochi minuti avvolti tra le luci al neon di una qualsiasi notte metropolitana dove Idrissa Ouédraogo omaggia la maniera dei maestri del noir prima di fare di “Samba Traoré” un’opera totalmente immersa nell’humus culturale della sua terra accecata dal sole.
Di Samba Traoré non sappiamo nulla della vita in città, i motivi che lo hanno spinto a fare una rapina rimangono fuori campo, come degli elementi impliciti della narrazione che tramite il percorso esistenziale dell'uomo rendono centrale nell'economia del film il rapporto tra la città e il villaggio, tra un luogo che spinge alla corruttibilità dello spirito e uno spazio che si rigenera ogni volta nel valore attribuito alle piccole cose. Questo aspetto emerge soprattutto nell'andamento che l'autore africano imprime allo sviluppo del film, che sembra una sorta di apologo a tesi girato per delineare la parabola esistenziale di un uomo che, se da un lato cerca di guardare con ottimismo al domani che lo attende, dall'altro lato è corroso dai sensi di colpa. Infatti, quanto più il presente gli fa capire il potenziale gioioso che può regalargli la vita, tanto più rimane pressato dal peso del suo passato recente. La sua crisi interiore diventa così una crisi più generale, che si innesta tra i diversi modi di gestire il tempo e vivere gli spazi, e tra le differenti modalità di relazionarsi con le cose del mondo.
I toni leggeri del film non sottraggono la narrazione dal descrivere l'asprezza dei luoghi e la durezza della vita, Idrissa Ouédraogo non cede mai alla tentazione di fare della retorica di maniera intorno alle “virtù del fare bucolico”. I vari aspetti che animano la vita del villaggio vengono colti nella loro pura entità descrittiva, ponendo la macchina da presa alla giusta distanza, tra la verità degli aspetti antropologici che emergono dalla narrazione filmica e gli artifici cinematografici che ne fanno da tramite.
Interessante è il modo in cui Idrissa Ouédraogo organizza la messinscena, non solo facendo del non visto un elemento importante nell'analisi delle differenze tra la vita di città e la vita del villaggio, ma anche dando allo spettatore elementi sufficienti per fargli comprendere i comportamenti di Samba Traoré più di quanto possano fare i suoi familiari. Chi guarda il film sa infatti come l’uomo sia riuscito a fare i soldi, lo sa sin da subito, e la frattura netta tra il carattere violento della prima sequenza e la tonalità elegiaca che persiste per il resto del film è quanto basta per orientare la sua visione secondo il rapporto tipicamente cinematografico tra lo sguardo oggettivo indotto dal regista allo spettatore è il discorso indiretto della narrazione filmica.
Dopo l'esperienza di vita in città, Samba Traoré ritorna nel villaggio dove è nato e cresciuto, un luogo dove non ci vogliono troppi soldi per vivere serenamente in armonia con tutto e con tutti. Detto altrimenti, i troppi soldi in suo possesso insinuano la possibilità del superfluo in un luogo dove vive la naturale propensione a farsi bastare il necessario. È appunto questa evidenza culturale inserita sottilmente nello sviluppo narrativo della storia a rappresentare la forza propulsiva del film e a fare di “Samba Traoré un’opera tesa ad analizzare in chiave antropologica il rapporto tra ciò che è dentro e ciò che è fuori rispetto alla vita semplice di un qualsiasi villaggio. E ciò che viene da fuori ha le fattezze concrete dei troppi soldi in possesso di Samba Traoré, che non sono il frutto di un lavoro onesto e quindi suscettibili di produrre benefici in una maniera trasparente, ma sono la conseguenza di un furto che chissà come e quando è stato concepito da un uomo che tutti conoscono come un buono. E qui sta il punto cruciale della questione, nel fatto che la ragione di quei soldi deve rimanere nascosta, e con essa un passato che ha visto la tentazione di fare soldi facili prendersi gioco di quei sacrifici che valgono il frutto di una vita serena.
Quei soldi si configurano come un corpo alieno rispetto al vissuto culturale di Samba Traorè, capaci di corrompere le coscienze, le relazioni umane e il lineare andamento delle cose. Buon film.
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