Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
“Io non sono un uomo complicato. A me piace il cinema e mi piace molto vedere la gente scopare nei film, ma non voglio vincere un Oscar o re-inventare la ruota. Amo i piaceri semplici, come il burro nel culo o i lecca-lecca in bocca, che vuoi?, sono fatto così! Sono queste le cose che mi piacciono. Chiamami pazzo o pervertito, ma...c'è una cosa che voglio fare in questa vita e cioè fare molti soldi, fare soldi a palate in questo campo. Dai, Jack! Non voglio danneggiarti. Cerco solo di farti rimanere sulla cresta dell'onda insieme a me.”
San Fernando Valley, California, 1977: c'è Hollywood ma c'è anche un'industria di cinema pornografico floridissima, nata dalla legalizzazione del genere nello Stato della California a partire dal 1970.
Jack Horner (Burt Reynolds) è un affermato regista e di tanto in tanto pure talent-scout ed è in tale improvvisata veste che scova in un locale un lavapiatti 17enne, Eddie (Mark Wahlberg); questo superdotato ed erotomane minorenne, complice il brutto rapporto con la madre, non si lascia sfuggire l'occasione e scappa di casa per inseguire il suo sogno di fare carriera nel mondo della pornografia. Introdottovi come suo nuovo pupillo da Jack, prende parte a lussuose feste in piscina a base di alcol, sigari, sesso e quant'altro, andando a conoscere una moltitudine di futuri colleghi e tecnici gravitanti intorno alla casa di produzione, fra cui la rossa e affettuosa Amber Waves (Julianne Moore), lo scanzonato Reed Rothchild (John C. Reilly) e Miss Rollergirl (Heather Graham).
Eddie firma, sceglie lo pseudonimo accattivante Dirk Diggler e comincia una brillante carriera, con un apice nel paradossale sceneggiato TV a puntate porno-poliziesco “Brock Landers”. Sullo sfondo storie di difficoltà, come quella dell'ex-attore di colore Buck Swope (Don Cheadle) che cerca senza fortuna di rilanciarsi in una nuova attività, quella del timido ed effeminato Scotty (Philip Seymour Hoffman) o quella del tecnico cornuto Little Bill (William H. Macy). Ma la crisi, lavorativa ed interpersonale, non tarderà a farsi sentire per tutti: gli anni '80 portano il formato videotape, una disinibizione sempre crescente, scandali e ostilità sociale...
Paul Thomas Anderson è un talento precocissimo: sceneggiatore e regista autodidatta, già da bambino aveva il pallino del cinema e gli incoraggiamenti del padre Ernie Anderson, doppiatore e personaggio radiofonico, lo portano a sfornare presto, con qualche aiuto economico, il cortometraggio “Cigarettes & Coffee”, presentato al Sundance Festival nel 1993. Il suo primo lungometraggio è “Sydney”, thriller del 1995 con qualche strascico di produzione durante i quali Anderson scrive la sceneggiatura del suo futuro progetto, ovvero un riadattamento del suo mockumentary-corto girato a soli 18 anni e intitolato “The Dirk Diggler Story”. “Boogie Nights” nasce pressappoco così.
Questa introduzione non basta a spiegare come sia possibile che un ragazzo appena 27enne abbia potuto disporre al secondo lungometraggio di cast e budget di tutto rispetto; il tassello mancante è questo: Anderson è davvero bravo! Fra bei piani-sequenza, un'inattesa abilità nel gestire storie, personaggi e attori in un lavoro così corale e una sceneggiatura assai matura, il risultato è di quelli che lanciano con una bella spinta una carriera cinematografica, mettendo d'accordo pubblico e critica.
Anderson gira un film che ricalca con buona fedeltà non solo l'estetica degli anni '70, ma pure il mondo pornografico di quegli anni grazie alle consulenze di attori del ramo e alla notorietà mondiale raggiunta con le loro vite più o meno travagliate da pornostar quali John Holmes, Ron Jeremy o Traci Lords. Anderson dagli anni '70 trae anche le principali ispirazioni registiche (in molti hanno ricordato Scorsese e Altman), rivisitando lo stile della New Hollywood, con uno sguardo che ricostruisce contesto e fatti con brillantezza (per non dire “luccicanza”, vista la fotografia del sodale Robert Elswit), ma senza eccedere in carica ironica o drammatica o in pomposità, nonostante la durata di due ore e mezzo possa far pensare a qualche eccesso o sbandamento.
Sui difetti di “Boogie Nights”, che comunque e per forza di cose ci sono,si potrebbe rapidamente glissare: qualche dialogo è un po' sottotono e la gestione del cambio di registro nella seconda parte è forse non del tutto riuscita e dilatata oltre misura, ma per il resto gira più che bene grazie, oltre che ad Anderson per cui ho speso già abbastanza plausi per essere il primo film che vedo fra i suoi, ad interpreti in gran forma, sui quali svettano la sempre brava Moore e il redivivo Reynolds. Wahlberg fino a qualche anno prima tentava la carriera come rapper col nomignolo Marky Mark ed era un qualcosa di talmente orrendo che qui non si potrebbe davvero chiedergli di più, anche se ha limiti evidenti. Una curiosità e nulla più su un'altra interprete, Heather Graham: a causa di un paio di scene in cui appare integralmente nuda, da allora ha completamente troncato i rapporti con i genitori, cattolici praticanti di origini irlandesi.
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