Regia di Paul Thomas Anderson vedi scheda film
Che Anderson fosse un grande, un novello "Wonder boy" alla Orson Welles, lo si è iniziato a capire da qui. Non sono molti i film degli anni 90 che rivelino una tale capacità di comporre un affresco sfaccettato di un'epoca (qui gli anni 70 del cinema pornografico), con evidenti rimandi stilistici ad autori come Scorsese, Altman e Tarantino, ma conservando un proprio sguardo cinematografico che non pecca di inutile moralismo. "Boogie nights" è una sorta di "Quei bravi ragazzi" dove alla famiglia allargata della Mafia viene sostituita la famiglia allargata degli attori, registi e tecnici che lavorano ai film per adulti; del film di Scorsese viene ripresa anche la colonna sonora piena di canzoni dell'epoca (circa 42) e il vertiginoso "extended take" dell'inizio che è una citazione di quello del "Copacabana" in cui Henry Hill presentava la sua fidanzata ad amici e parenti mafiosi; eppure, personalmente non accuserei certo Anderson di aver plagiato lo zio Marty, mi sembra semmai che abbia rielaborato le suggestioni del regista italo-americano in una visione personale che colpisce per la sua franchezza e la sua originalità. Il film è la versione estesa di un cortometraggio girato sullo stesso argomento da Anderson nel 1988; entrambi sono ispirati alla vita della pornostar John Holmes, ma piuttosto alla lontana, perchè una vera biografia di Holmes avrebbe richiesto dettagli molto più sordidi. Tutta la prima parte (fino alla tragedia che coinvolge il personaggio di William H. Macy) è di ammirevole fluidità nel ritmo e stupefacente per l'esattezza della rievocazione ambientale; in seguito la struttura narrativa sembra diventare un pò meno compatta e tende a sfilacciarsi in alcune parentesi piuttosto superflue, ma non mancano, comunque, diverse sequenze che lasciano il segno come la divertente rapina in stile Tarantino ad uno spacciatore interpretato da Alfred Molina, oppure l'inquietante sequenza in montaggio alternato in cui il protagonista Dirk Diggler, caduto in disgrazia, viene picchiato da un malintenzionato "cliente" e la Rollergirl di Heather Graham si vendica di un finto stallone che l'aveva trattata con poco rispetto (lunga scena commentata a livello sonoro da un rumore persistente ed opprimente). Il cast è uniformemente eccellente come nei migliori film di Altman: i più bravi sono probabilmente Burt Reynolds e Julianne Moore, entrambi candidati all'Oscar (il primo, in particolare, è stato una vera rivelazione che me l'ha fatto rivalutare come attore), ma ci sono molti altri interpreti della "factory" di Anderson che torneranno nel successivo Magnolia come John C. Reilly, Melora Walters, Philip Baker Hall, Philip Seymour Hoffman, Luis Guzman, William H. Macy ecc., tutti volti che bucano lo schermo sotto la direzione di Anderson. Il protagonista Mark Wahlberg, ex-modello per la biancheria intima di Calvin Klein, non è quello che si definirebbe un grandissimo interprete, ma Anderson ha saputo trarne il meglio, e in molte scene riesce a mostrare una gamma espressiva comunque apprezzabile per un semi-esordiente. Una menzione d'onore anche alla fotografia di Robert Elswit, ricchissima di tonalità cromatiche e invenzioni luministiche nella rievocazione, nostalgica ma non troppo, degli anni Settanta.
voto 9/10
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