Regia di Nanni Moretti vedi scheda film
Quattro anni dopo Caro diario (film splendido ma che già faceva presagire una certa crisi autoriale nella sua frammentarietà), il Nanni nazionale torna sui grandi schermi con un film breve (non più di settantacinque minuti, ma piuttosto densi) dal titolo evocativo e simbolico. Aprile è il mese del primo insediamento berlusconiano a Palazzo Chigi nel 1994, è il mese della Liberazione d’Italia, è il mese della vittoria de L’Ulivo nel 1996 e, soprattutto, è il mese della nascita del primo, desiderato pargolo, che Nanni e la moglie Silvia chiamano Pietro, nome spuntato dopo agguerrite fasi eliminatorie (“non dovrà fare l’attore”).
Ma se, da una parte, l’uomo di famiglia (padre, marito, figlio, fratello, amico) si sente abbastanza appagato, l’uomo pubblico, invece, (attore, regista, coscienza critica della sinistra italiana) è svogliato, distratto, autocritico, debole. Chi l’ha letto come una sorta di seguito di Caro diario dimentica di dire che se il film del ’93 aveva una sua ragione di esistere nell’autoritratto personale e nel contesto sociale, Aprile è invece abbastanza irrisolto. Nasce da un’esigenza strana (espressa da Daniele Luchetti, impegnato nella realizzazione di uno spot pubblicitario: “da quand’è che non fai un film?”), non fragile per un autore e forse preoccupante.
C’è sì tutto il Moretti che abbiamo imparato ad amare (le scarpe, le torte, la sinistra, l’io analitico, la vespa etc..), ma è piuttosto un accumulo dovuto alla mancanza di idee. D’altro canto, è il miglior ritratto di un autore in crisi degli ultimi anni, perché ne esprime al meglio vizi, difetti e carenze, ma anche pregi, valori e qualità. E ci crediamo che tutto ciò raccontato sia realmente accaduto, non solo la conclamata e palese paternità conquistata in ritardo, ma anche il documentario sull’Italia (film nel film, incompiuto certo, ma interessante specialmente nei segmenti della manifestazione del 25 aprile, della proclamazione dell’indipendenza della Padania, dello sbarco degli albanesi a Brindisi) e il musical sul pasticcere comunista (un gagliardo Silvio Orlando), ambientato negli anni cinquanta, più volte annunciato (anche in Caro diario) e concretizzato in poche scene.
Per il resto, alcune belle invenzioni come la coperta fatta di ritagli di giornali e molte battute (memorabile resta il “D’Alema, dì qualcosa, reagisci…Dai, dì qualcosa, D’Alema, rispondi, non ti far mettere in mezzo sulla giustizia proprio da Berlusconi…D’Alema dì una cosa di sinistra. Dì una cosa anche non di sinistra, di civiltà… D’Alema, dì una cosa, dì qualcosa, reagisci… Non dobbiamo reagire, eh… nervi saldi, dobbiamo rassicurare…”, sottile ed arguto atto d’accusa contro la sinistra), molti amici in ballo (la moglie, Angelo Barbagallo, Luchetti, Corrado Stajano, Andrea Molaioli, lo stesso Orlando), la solita cantata stonata (stavolta tocca a Jovanotti e Ragazzo fortunato), ma è il film di Moretti più insoluto.
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